La CEDU sul caso Ayvazyan ex parlamentare armeno (CEDU, sez. I, sent. 8 ottobre 2020, ric. n. 49021/08)

La CEDU si pronuncia sul caso Smbat Ayvazyan, ex membro del Parlamento armeno che nel 2014 ha preso parte ad una manifestazione organizzata per protestare contro le irregolarità delle elezioni presidenziali. Durante la manifestazione il ricorrente è stato arrestato dalla polizia e successivamente è stato denunciato per essersi opposto alla stessa. Il ricorrente ha ritenuto la sua detenzione illegale in quanto non c’è stata alcuna autorizzazione da parte del tribunale competente, violando così l’art. 5 co. 1, Conv. La Corte ha ribadito che l’art. 5 sancisce un diritto fondamentale, vale a dire la protezione dell’individuo contro l’ingerenza arbitraria dello Stato al suo diritto alla libertà. Le parole “in conformità con la procedura prescritta dalla legge” (art. 5, co. 1, Conv.) si riferiscono essenzialmente al diritto nazionale e stabiliscono l’obbligo di conformarsi alle norme sostanziali e procedurali della stessa. Non essendoci stata effettivamente alcuna decisione del tribunale che autorizzasse la detenzione del ricorrente vi è stata una violazione dell’art. 5, co. 1, Conv. Il ricorrente ha anche sostenuto che il suo processo sia stato condotto in violazione delle garanzie sancite dal 3 co., art. 6, Conv. Questo perché l’accusa è stata basata esclusivamente sulla testimonianza degli agenti di polizia. Accusa che il ricorrente ha cercato di contestare chiamando un certo numero di persone che avrebbero potuto confermare che non si era verificato alcun incidente tra lui e gli agenti di polizia. La sua richiesta però è stata respinta dal tribunale. A riguardo la Corte ha ritenuto che i tribunali nazionali non hanno utilizzato ogni ragionevole opportunità per verificare le dichiarazioni incriminanti degli agenti, unici testimoni dell’accusa. L’ approvazione incondizionata della versione della polizia con il rifiuto di esaminare i testimoni della difesa hanno portato ad una limitazione della difesa dei diritti incompatibili con le garanzie di un equo processo. Per questi motivi la Corte ha ritenuto che nell’insieme il procedimento penale contro il ricorrente è stato condotto in violazione del suo diritto ad un equo processo. Infine, il ricorrente ha sostenuto che l’azione penale e la condanna nei suoi confronti sono state una forma mascherata d’interferenza con il suo diritto alla libertà di espressione e al diritto di partecipare alle proteste contro le autorità. Ha sostenuto che lo scopo dell’accusa era quello di isolarlo dagli altri attivisti dell’opposizione che avevano organizzato le proteste contro le irregolarità delle elezioni presidenziali. La Corte tenuto conto degli elementi in suo possesso ha sostenuto la tesi del ricorrente, dubitando che le vere ragioni dell’arresto fossero realmente quelle indicate dalla polizia. Per questi motivi l’accusa e l’azione penale nei confronti del ricorrente sono risultate essere un’interferenza con il suo diritto alle libertà di espressione e di riunione pacifica.

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