La Corte Edu sull’arresto di un cittadino accusato di reati legati al terrorismo (CEDU, sez. V, sent. 17 settembre 2020, ric. n. 58444/15)

Con la decisione in esame, la Corte EDU si è pronunciata sul ricorso presentato contro l’Ucraina dal signor Grubnyk il quale ha denunciato, sotto molteplici aspetti, la violazione degli artt. 5 e 6 della CEDU.
Nel caso di specie, il ricorrente era stato accusato dalle autorità ucraine di aver pianificato l’attentato terroristico verificatosi nel settembre del 2015 nella città di Odessa e, per tale ragione, arrestato dagli agenti di polizia nella giornata del 19 ottobre 2015. Il giorno successivo, inoltre, il tribunale distrettuale di Odessa Prymorsky ordinava la custodia cautelare del ricorrente. Quest’ultimo, tuttavia, faceva appello alla Corte d’Appello Regionale di Odessa sostenendo, in particolare, che si fosse registrato un ritardo nella stesura del verbale di arresto, redatto soltanto il giorno successivo, con conseguente negazione delle garanzie procedurali; che non fossero state tempestivamente illustrate le ragioni del suo arresto; che il fermo, benché non avvenuto nell’immediatezza del fatto di reato, fosse stato ordinato in mancanza di una previa decisione del tribunale; che le prove presentate dall’investigatore fossero insufficienti a sostenere un ragionevole sospetto nei suoi confronti; che il tribunale distrettuale non avesse tenuto in debito conto la possibilità di ricorrere ad una misura preventiva non detentiva; che, da ultimo, la dichiarazione contenuta nell’ordinanza di detenzione, secondo cui egli avesse “commesso un reato particolarmente grave”, fosse in contrasto con il principio della presunzione di innocenza. Ciononostante, la Corte d’Appello confermava l’ordine di detenzione. Adita dal ricorrente, la Corte EDU rileva che nel caso concreto si sia effettivamente verificato un ritardo nella redazione del rapporto di arresto; a tal proposito, i giudici di Strasburgo ribadiscono che l’assenza di un verbale di arresto deve di per sé essere considerata un grave inadempimento, poiché la detenzione non registrata di un individuo comporta una negazione delle garanzie di fondamentale importanza contenute nell’articolo 5 della Convenzione. In secondo luogo, la Corte EDU afferma che l’arresto del ricorrente, condotto senza una preventiva decisione del tribunale, mancasse di ogni presupposto di legittimità poiché il codice di procedura penale autorizza una tale costrizione della libertà personale per il solo caso in cui l’arresto sia eseguito immediatamente dopo la commissione del reato. Per conseguenza, è da ritenersi che pure con riferimento al secondo motivo di ricorso sia stata integrata la violazione del parametro evocato di cui all’art. 5 della Convenzione. Diametralmente opposte sono invece le conclusioni rassegnate dalla Corte EDU circa la mancata tempestiva illustrazione dei motivi dell’arresto, per come denunciata dal ricorrente. Spiega infatti la Corte che l’obiettivo principale dell’articolo 5 § 2 non è quello di salvaguardare il diritto di un ricorrente all’assistenza legale in un procedimento penale, ma piuttosto quello di garantire una protezione contro la privazione arbitraria della libertà e consentire al ricorrente di ottenere un controllo effettivo della legittimità della sua detenzione; un controllo che non potrebbe essere effettuato qualora non fossero note le ragioni dell’arresto. Nel caso di specie, tuttavia, deve obiettarsi che un possibile ritardo nella spiegazione formale dei motivi dell’arresto del ricorrente non abbia prodotto nei suoi confronti alcun effetto pregiudizievole ai fini di una possibile contestazione della legittimità della detenzione, dunque escludendosi ogni lamentata violazione dell’art. 5 § 2 della Convenzione. Altra censura è quella avanzata dal ricorrente in merito all’asserita violazione dell’art. 5 § 3 della Convenzione in tema di validità del regime di custodia cautelare continuata. In senso contrario, i giudici di Strasburgo hanno sostenuto che le motivazioni argomentate dai tribunali nazionali fossero tali da integrare i presupposti di legittimità evocati dal parametro convenzionale, specie osservando che le autorità avessero comunque il dovere di proteggere i diritti delle vittime effettive e potenziali di violenti attacchi terroristici. Di qui, l’infondatezza della lesione lamentata dal ricorrente. Infine, il signor Grubnyk ha denunciato la violazione dell’art. 6 § 2 della Convenzione circa la mancata osservanza del principio della presunzione di innocenza, laddove l’ordinanza di custodia cautelare si esprimeva nel senso che il ricorrente avesse “commesso un reato particolarmente grave”. A tal riguardo, la Corte ribadisce che il principio della presunzione di innocenza, ai sensi dell’articolo 6 § 2, deve ritenersi violato qualora una decisione giudiziaria o una dichiarazione di un pubblico ufficiale riguardante una persona accusata di un reato riflettano la convinzione che quest’ultima sia colpevole pur in assenza di una formale constatazione. Nel caso in esame, la Corte rileva infatti che l’espressione utilizzata dal tribunale distrettuale potesse essere letta solo nel senso che, a parere dell’autorità giudiziaria, il ricorrente fosse effettivamente colpevole del grave reato di cui era egli stato semplicemente sospettato e non condannato all’epoca. Ne consegue la dichiarazione di fondatezza della censura mossa dal ricorrente in riferimento all’art. 6 § 2 della Convenzione.

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