La CEDU su armi da fuoco, obbligo di proteggere vite umane e dovere di diligenza dello Stato (CEDU, sez. I, sent.17 settembre 2020, ric. n. 62439/12)

La Corte Edu si pronuncia sul caso di una sanguinosa sparatoria avvenuta, nel 2008, in una scuola della città di Kauhajoki in Finlandia, in cui nove studenti ed un insegnante persero la vita per mano di uno studente della scuola stessa, poi suicidatosi. L’autore del reato aveva ricevuto una licenza per armi da fuoco dalla stazione di polizia locale pochi mesi prima dell’attentato. L’uomo, avendo pubblicato alcuni post su Internet, fra cui un commento su un film sulla Columbine High, “Il massacro scolastico”, definito “il miglior intrattenimento di sempre”, era stato ascoltato, proprio il giorno prima dell’attentato, dall’ispettore capo detective della stazione di polizia locale, al fine di verificare se rappresentasse un pericolo per la società. L’ispettore aveva ritenuto che così non fosse e che non occorresse procedere al sequestro dell’arma in suo possesso. Dopo la sparatoria, i parenti delle vittime avevano avviato dei giudizi penali contro l’ispettore per violazione colposa di un dovere d’ufficio e per omicidio gravemente colposo. I tribunali nazionali lo avevano dichiarato colpevole, nel 2011, del primo capo di imputazione, constatando che i post su Internet dell’autore del reato erano inquietanti e ben avrebbero giustificato il sequestro temporaneo della sua pistola. Per quanto riguarda la seconda accusa, tuttavia, i giudici interni avevano escluso in capo all’ispettore una responsabilità per gli omicidi, non avendo lo stesso avuto elementi per
sospettare l’esistenza di un rischio effettivo di un attacco sotto forma di sparatoria a scuola. Inutili i ricorsi dei ricorrenti alla Corte Suprema.
Di qui la decisione di adire la Corte di Strasburgo, denunciando la violazione dell’art. 2 (diritto alla vita), in quanto la polizia era o avrebbe dovuto essere consapevole del rischio imminente rappresentato dall’autore del reato, ma non aveva preso alcuna misura per prevenire la sparatoria e
proteggere la vita dei loro parenti. Riprendendo le conclusioni dei tribunali nazionali, la Corte ha escluso l’esistenza di un rischio reale e immediato per la vita di individui ben identificabili, di cui le autorità sapevano o avrebbero dovuto sapere: le circostanze del caso non avevano dato luogo a un dovere di protezione personale nei confronti delle vittime dell’omicidio, o degli altri alunni o del personale della scuola, non esistendo un pericolo reale e immediato, derivante dal colpevole, di cui la polizia avesse avuto conoscenza o che avrebbe dovuto conoscere prima dell’agguato. Parimenti, la Corte ha anche respinto la tesi dei ricorrenti secondo cui la polizia avrebbe dovuto ottenere le cartelle cliniche e militari del killer per
conoscere i dati sulla sua salute mentale. I Giudici di Strasburgo hanno, poi, indagato se lo Stato avesse ottemperato al suo dovere di diligenza nella tutela della sicurezza pubblica, nel contesto dell’uso di armi da fuoco e del correlato elevato rischio per la vita umana. Ha rilevato che la polizia era venuta a conoscenza dei post su Internet dell’autore del reato che, sebbene non contenessero specifiche minacce, apparivano idonei a mettere in dubbio la possibilità che l’uomo mantenesse tranquillamente il possesso di un’arma. La polizia lo aveva interrogato, ma non aveva sequestrato la sua arma, pur essendo il ricorso a tale misura precauzionale nella piena
disponibilità della polizia stessa. Procedere al sequestro non avrebbe causato alcuna interferenza significativa con qualsiasi diritto concorrente tutelato dalla Convenzione e non avrebbe implicato esercizi di bilanciamento tra diritti contrapposti particolarmente difficili o delicati.
La Corte ha, dunque, ritenuto che il sequestro dell’arma fosse una misura cautelare ragionevole considerati i dubbi sull’idoneità dell’autore a possedere un’arma da fuoco pericolosa e che, pertanto, le autorità non avessero adempiuto a tale speciale dovere di diligenza loro imputabile a causa dell’elevato livello di rischio per la vita umana correlato a qualsiasi cattiva condotta inerente armi da fuoco. La Corte, con sei voti contro uno, ha così concluso per l’avvenuta violazione da parte dello Stato dei suoi obblighi di salvaguardare vite umane ai sensi dell’art. 2 CEDU.

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