Con la decisione resa al caso di Miţu contro la Repubblica di Moldavia, la Corte EDU si è pronunciata sul ricorso presentato da una cittadina moldava, la Sig.ra Ana Mîţu, per avere la polizia di Stato usato un trattamento inumano e degradante contro la sua persona (e quella del coniuge) nel corso di una perquisizione presso la loro abitazione. Stando alla ricostruzione dei fatti, durante l’operazione condotta nei confronti del Sig. Miţu, sospettato di detenere in casa beni rubati oltre che armi da fuoco, gli agenti avrebbero fatto ricorso a misure sproporzionate, nonostante non vi fosse stato alcun segno di resistenza da parte dei due coniugi. In particolare, la ricorrente aveva lamentato come la forza usata nei suoi confronti fosse stata eccessiva sì da averle provocato un profondo shock emotivo, e che le indagini svolte successivamente dalle autorità giudiziarie nazionali fossero lacunose ed insufficienti, basandosi esclusivamente sulle dichiarazioni dei poliziotti. Di contro, il Governo moldavo respingeva ogni addebito, dichiarando che l’uso della forza era stato indispensabile data la condotta aggressiva e resistente dei coniugi. Parimenti per il Tribunale di Botanica gli agenti avevano agito legittimamente in base a quanto disposto dalla legge n. 218 del 19 ottobre 2012 concernente l’uso della forza fisica, dei mezzi speciali e delle armi da fuoco. Pertanto, il trattamento posto in essere, per quanto spiacevole, non era da ritenersi “tortura disumana”. Rispetto a questo pronunciamento, la Corte Edu, dopo aver preliminarmente ricordato che in caso di violazione dell’art. 3 CEDU essa ha facoltà di esercitare un controllo particolare e approfondito sull’iter decisionale dei tribunali nazionali, ha ribadito che nei confronti di una persona privata della sua libertà, o, più in generale, che si trova di fronte a forze dell’ordine, qualsiasi ricorso alla forza fisica non strettamente necessitato dalla sua condotta viola la dignità umana e, con essa, l’articolo 3. La valutazione dei giudici di Strasburgo è proseguita poi analizzando sotto il duplice profilo, sostanziale e procedurale, la presunta violazione della disposizione in parola. Quanto al primo profilo, essi hanno ritenuto che il trattamento posto in essere dagli agenti di polizia fosse eccessivo e non giustificabile di fronte alla condotta inoffensiva della Sig. ra Ana Mîţu (come appunto è da considerarsi il gesto di alzare il capo, reazione evidentemente innocua). Inoltre, la Corte ha osservato come l’operazione di perquisizione fosse stata pianificata dalle stesse autorità di polizia e, quindi, come ne fosse presumibile anche lo svolgimento con conseguente prevedibilità delle misure da adottare in caso di resistenza da parte del perquisito. Quanto al secondo profilo, la Corte di Strasburgo ha ritenuto carenti ed inefficaci le indagini svolte dai pubblici ministeri e dal giudice istruttore nazionali, i quali solo sommariamente avevano ritenuto il trattamento posto in essere dagli agenti conforme alle circostanze previste dalla legge, senza procedere però ad alcuna più specifica e puntuale analisi del caso di specie. Sicché alla luce di simili argomentazioni la Corte ha deciso che il trattamento subito dalla ricorrente integri violazione dell’art. 3 CEDU sia sotto il profilo sostanziale che procedurale, in quanto inumano e degradante, disponendo finanche il risarcimento del danno non patrimoniale.
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