La CEDU sul diritto a non manifestare le proprie credenze religiose (CEDU, sez. I, sent. 25 giugno 2020, ric. n. 52484/18)

La Corte Edu si pronuncia sulla pratica, diffusa in alcuni uffici anagrafici in Grecia, di apporre a mano nei certificati di nascita la dicitura “denominazione civile” (“ονοματοδοσία”), nel caso di bambini non battezzati. Secondo i ricorrenti, la giovane Stavroula-Dorothea Stavropoulou ed i suoi genitori, tale annotazione su un documento pubblico e di uso frequente quale il certificato di nascita, nel rivelare la scelta dei
genitori di non battezzare il proprio figlio, costituisce un’interferenza con il proprio diritto a non essere obbligati a manifestare le proprie convinzioni.
I Giudici di Strasburgo hanno accolto tale tesi, anche in considerazione del fatto che la divulgazione di informazioni relative alle credenze religiose, in documenti pubblici di uso frequente, potenzialmente espongono i loro portatori al rischio di trattamenti discriminatori. D’altro canto, la Corte ha rilevato che l’apposizione di tale dicitura nel certificato di nascita non appare necessaria, né tantomeno prescritta dalla legge, ma piuttosto il risultato di una convinzione diffusa nell’ambito di alcuni uffici greci sull’esistenza di due alternative procedure per acquisire un nome, ossia a
seguito di atto di nomina civile – invero, l’unico riconosciuto dalla legislazione greca – ovvero a seguito di battesimo, dunque, di atto religioso; solo per i non battezzati si era diffusa la pratica di inserire la suddetta nota manoscritta. Di qui, all’unanimità, la dichiarazione dell’avvenuta violazione dell’articolo 9 (libertà di pensiero, coscienza e religione) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

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