La CEDU su diritto alla vita, divieto di tortura e diritto di libertà e sicurezza (CEDU, sez. III, sent. 30 giugno 2020, ric. n. 79947/12)

Con la decisione resa al caso Satybalov contro Russia, la Corte Edu si è pronunciata sul ricorso sollevato da tre cittadine russe congiunte da rapporto di parentela al Sig. Marat Satybalov, deceduto nel 2010 a seguito di maltrattamenti subiti nella stazione di polizia del distretto di Kazbekovskiy. Il Sig. Satybalov, assieme ad altre persone, era stato fermato sulla base di una segnalazione pervenuta alla polizia, secondo la quale l’uomo, per via della sua barba molto lunga, aveva destato sospetti. In seguito al rifiuto di fornire la propria identità veniva tradotto presso la stazione di polizia per l‘identificazione e qui rimaneva in stato di detenzione per l’intera notte. L’indomani veniva rimesso in libertà, pagando la multa “per non aver obbedito agli ordini legittimi della polizia, in violazione dell’articolo 19.3 del codice dei reati amministrativi”. Con il ricorso presentato innanzi alla Corte EDU, le ricorrenti lamentavano la violazione degli articoli 2 (Diritto alla vita); 3 (Proibizione della tortura); 5 (Diritto alla libertà e alla sicurezza) e 13 (Diritto a un ricorso effettivo) della Convenzione EDU, nonché l’omissione di adeguate indagini da parte delle autorità nazionali. I giudici di Strasburgo dopo aver respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal Governo hanno proceduto ad esaminare il merito della questione. La Corte ha riscontrato la violazione degli articoli 2, 3 e 5 della CEDU. Rispetto invece alla violazione dell’art. 13 CEDU ha ritenuto assorbita la questione negli altri profili di censura posti. Per la Corte EDU le percosse subite dal Sig. Satybalov – come confermato anche dalle indagini interne della polizia – ne hanno procurato la morte. A tal riguardo, si è ribadito che “quando un individuo viene preso in custodia dalla polizia in buona salute e viene trovato ferito al momento del rilascio, spetta allo Stato fornire una spiegazione plausibile di come sono state causate tali lesioni”. In casi simili, l’obbligo per le autorità di rendere conto del trattamento di un individuo in custodia è particolarmente severo quando ne segua poi il decesso e, nel caso di specie, l’assenza di ogni ragionevole giustificazione del Governo circa l’uso eccessivo della forza da parte della polizia ha portato a ritenere responsabile lo Stato per la morte del Sig. Satybalov, con conseguente violazione dell’art. 2 CEDU. La stessa disposizione è stata ritenuta lesa anche sotto il suo profilo procedurale, in quanto l’obbligo di effettuare indagini efficaci (e tempestive), quando siano in questione gli articoli 2 e 3 della Convenzione, risponde allo scopo di garantire l’effettiva attuazione delle leggi nazionali a tutela del diritto alla vita e, in quei casi che coinvolgono agenti o organismi statali, far valere la loro responsabilità. In riferimento all’art. 3 CEDU, la Corte ha poi ricostruito il contenuto della disposizione, tracciando la fondamentale distinzione tra tortura e trattamento inumano e degradante. In proposito, ha ravvisato nel maltrattamento inflitto nel caso di specie gli estremi di una vera e propria tortura, affermando che può definirsi come tale ogni trattamento che si caratterizzi non solo per una certa lesività seria ed intensa, ma anche per il concorrere dell’atteggiamento doloso dell’agente volto ad infliggere intenzionalmente dolore o sofferenza, punizioni o intimidazioni. In tale contesto la Corte ha ravvisato parimenti la violazione dell’art. 5 CEDU, ritenendo che scopo principale della disposizione sia quello di prevenire privazioni arbitrarie o ingiustificate della libertà che, assieme al diritto alla sicurezza, costituisce il pilastro fondamentale su cui si fonda il carattere
democratico di ogni società. Infine, per le parti ricorrenti è stato disposto il risarcimento per danno morale e, per due delle tre richiedenti, anche il risarcimento per danno patrimoniale.

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