Il sequestro e la confisca dei proventi del reato sono opponibili al fisco purché intervengano nel medesimo periodo in cui si è verificato il presupposto imponibile (Cass. Pen., sez. III, sent. 14 febbraio – 19 giugno 2020, n. 18575)

La l. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4, dispone che, “nelle categorie di reddito di cui all’art. 6, comma 1, t.u.i.r., approvato con d.P.R. n. 917 del 1986, devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale”. Fermo restando, dunque, che potrà ritenersi integrato il reato di dichiarazione infedele di cui al d.lg. n. 74 del 2000, art. 4 qualora l’evasione di imposta riguardi redditi di derivazione illecita, la seconda parte del citato articolo individua una condizione negativa di imponibilità nell’ipotesi di spossessamento dei proventi illeciti che avvenga per effetto di sequestro o confisca. L’operatività di tale meccanismo, secondo l’interpretazione data
alla norma dalla costante giurisprudenza di legittimità, è tuttavia subordinata alla circostanza che il provvedimento ablatorio sia intervenuto nello stesso periodo di imposta cui il provento si riferisce. Il sequestro e la confisca dei proventi, in altri termini, sono opponibili al fisco purché intervengano nel medesimo periodo in cui si è verificato il presupposto imponibile.

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