L’omessa informazione dell’avvenuto concepimento costituisce condotta “non iure” e lede il diritto all’identità personale nei rapporti genitoriali. Artt. 2 e 30 Cost. (Cass. Civ., Sez. III, sent. 16 maggio 2019- 5 maggio 2020, n. 8459)

L’omessa comunicazione all’altro genitore, da parte della madre, consapevole della paternità, dell’avvenuto concepimento di un figlio, laddove non trovi giustificazione in un oggettivo e apprezzabile interesse del nascituro, costituisce condotta “non Iure”, sebbene tale comunicazione non sia imposta da alcuna norma. Una simile condotta infatti, se posta in essere con dolo o colpa, può integrare gli estremi di una responsabilità civile ai sensi dell’art. 2043 c.c. in quanto può arrecare un danno ingiusto al diritto del padre di affermare la propria identità genitoriale, giuridicamente traducibile nel diritto di ristabilire la verità inerente il rapporto di filiazione. Il diritto alla identità personale”, trova riconoscimento ex artt. 2 e 30 Cost., e costituisce l’esplicazione della personalità dell’essere umano, nelle formazioni sociali in cui opera, anche attraverso la filiazione, sia sotto il profilo della trasmissione del proprio patrimonio genetico, sia sotto l’aspetto maggiormente qualificante e propriamente relazionale.

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