La CEDU su controversia per la custodia di figli di genitori di diversa nazionalità (CEDU, sez. I, sent. 4 giugno 2020, ric. n. 896/16)

La Corte Edu si pronuncia sul ricorso presentato da S.L., cittadino italiano, a nome proprio e per

conto di suo figlio (A.L.), nato nel 2006 e residente in Romania con la madre, cittadina rumena. Quest’ultima, nel 2009, aveva avviato presso i Tribunali rumeni un procedimento di divorzio, chiedendo la custodia del figlio, mentre procedimenti giudiziari di separazione e custodia, avviati dal primo ricorrente nel 2007, erano ancora pendenti davanti ai tribunali italiani. Il Tribunale rumeno aveva concesso il divorzio ed assegnato la custodia alla madre nel 2012, mentre il Tribunale italiano assegnava la custodia al padre nel 2013, ordinando il rientro del bambino in Italia. Successivamente a tale decisione, S.L. chiedeva il riconoscimento e l’esecuzione di questa sentenza da parte dei tribunali rumeni. Tuttavia, la Corte d’appello aquilana, su domanda della moglie del primo ricorrente, sospendeva il procedimento di esecuzione, avendo verificato che nel frattempo la donna aveva ottenuto il divorzio e la custodia esclusiva del minore in Romania, in virtù di una decisione definitiva del Tribunale di Bucarest del dicembre 2012. La domanda di affidamento esclusivo di S.L. veniva, quindi, dichiarata inammissibile dal giudice italiano d’appello. Nel 2015, S.L. adiva la Corte di cassazione, la quale, nello stesso anno – dopo il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea sull’interpretazione del concetto di lite pendente nel diritto dell’UE, in ordine al significato dell’art.19 del regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003 e dopo la pronuncia della stessa CGUE – respingeva tale ricorso.

Quindi, S.L. si è rivolto alla Corte Edu, lamentando la violazione del diritto al rispetto vita privata e familiare, ai sensi dell’art. 8 Cedu a causa della lentezza del procedimento avviato innanzi ai tribunali italiani, durato sei anni.
I Giudici di Strasburgo osservano, preliminarmente, che per un genitore ed un figlio stare insieme è parte fondamentale della vita familiare e che ogni impedimento in tal senso interferisce con l’esercizio del diritto tutelato dall’art. 8 della Convenzione. In tali casi, gli Stati devono essere eccezionalmente diligenti nell’assicurare una decisione entro un termine ragionevole (requisito procedurale implicito nel citato art.8). Misure volte a riunire genitori e figli, pertanto, devono essere messe in atto rapidamente.

Nel caso di specie, i Giudici di Strasburgo sono stati chiamati a verificare se i ricorrenti avessero subito un’interferenza nel loro diritto al rispetto della vita familiare, in considerazione del tempo impiegato dal Tribunale di Teramo a pronunciarsi sulla residenza principale del bambino e sul suo ritorno in Italia, tenuto conto del fatto che la madre aveva nel frattempo ottenuto la custodia del minore in virtù di un provvedimento di divorzio emesso dal Tribunale di Bucarest.

La Corte ha osservato che S.L. non aveva presentato domanda all’autorità centrale per il ritorno di suo figlio in Italia, ai sensi della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 sugli aspetti civili del rapimento internazionale di minori; egli aveva semplicemente avviato un procedimento di separazione giudiziaria innanzi al Tribunale civile, chiedendo la custodia esclusiva del minore ed il suo ritorno in Italia. Il Tribunale di Teramo aveva statuito provvisoriamente sulla custodia e il collocamento del minore solo 4 mesi e 12 giorni dopo la presentazione del ricorso, tempistica conforme ai requisiti procedurali di cui all’art. 8 della Convenzione.

Per quanto riguarda il rapimento del bambino, le autorità italiane non erano state chiamate ad esaminare la questione, poiché la procedura di separazione giudiziaria non era efficace rimedio a questo scopo.
Inoltre, S.L. non aveva contestato dinanzi alla Corte d’appello la decisione di attribuire la custodia del bambino alla madre, essendo, pertanto, tenuto a conformarsi alle misure adottate dal tribunale. Il procedimento ha, quindi, seguito il suo corso al solo scopo di chiarire le modalità di esercizio del diritto di accesso del padre. A tale proposito, la Corte ha osservato che, pur essendo alcuni dei rinvii imputabili alle autorità, era stata l’attività procedurale di S.L. e di sua moglie ad influenzare in modo decisivo la durata complessiva del giudizio. La natura fortemente antagonista del rapporto tra le parti aveva impedito loro di raggiungere concreti ed efficaci accordi nell’interesse del figlio, per cui alla fine il Tribunale di Teramo aveva adottato autonomamente misure a tutela del minore. Conseguentemente la Corte ha ritenuto che la decisione sulla custodia fosse stata prontamente presa, in ossequio a quanto statuito dall’art.8 in ordine al diritto al rispetto della vita familiare, avendo le autorità italiane agito con la dovuta speditezza, adottando tutte le misure che ci si poteva da loro aspettare per assicurare che i ricorrenti intrattenessero un rapporto familiare, nell’interesse di entrambi, padre e figlio. Di qui la decisione di manifesta infondatezza della domanda.

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