La CEDU sul diritto alla libertà di espressione nel caso dei giornalisti del Parlamento ungherese (CEDU, sez. IV, sent. 26 maggio 2020, ric. n. 63164/16)

La Corte EDU si è pronunciata in tema di libertà di espressione. E’ il caso di tre giornalisti che hanno visto sospendere il loro accreditamento per entrare in Parlamento ed hanno sostenuto che vi è stata una violazione dell’art. 10 Conv. poiché a causa della decisione del relatore è stato loro impedito di riferire su questioni di interesse pubblico. I giornalisti hanno inoltre sostenuto che l’ordine del presidente non aveva soddisfatto i criteri di prevedibilità dal momento che né la decisione né il divieto di entrare in Parlamento avevano specificato il periodo di restrizione. La Corte ha notato che la sospensione dell’accreditamento per entrare in Palamento per un periodo di quasi cinque mesi aveva avuto effetti negativi, impedendo ai ricorrenti di venire a conoscenza del lavoro parlamentare. L’interferenza con il diritto alla libertà di espressione perseguiva due scopi legittimi ai fini del co. 2 dell’art. 10 Conv.: in primo luogo, mirava a prevenire l’interruzione del lavoro del Parlamento in modo da garantire l’effettivo funzionamento e quindi perseguiva l’obiettivo legittimo della “prevenzione del disordine”. In secondo luogo era inteso a proteggere i diritti dei deputati e quindi perseguiva l’obiettivo della “protezione dei diritti degli altri”. Per tale motivo la questione centrale è risultata essere quella se l’interferenza lamentata fosse stata “necessaria in una società democratica”. Per i giudici di Strasburgo la protezione offerta dall’art. 10 Conv. ai giornalisti è subordinata alla condizione che essi agiscano in buona fede al fine di fornire informazioni accurate e affidabili conformemente ai principi del giornalismo responsabile. Quest’ultimo non si limita ai contenuti delle informazioni raccolte e/o diffuse con mezzi giornalistici, compresa la loro interazione pubblica con le autorità nell’esercizio delle funzioni giornalistiche. Nel caso di specie, nel tentativo di ottenere informazioni dai parlamentari, i ricorrenti hanno agito in modo contrario alle regole di condotta del Parlamento che vietavano le riprese in alcuni settori. La Corte è convinta che i giornalisti sono stati sanzionati non per aver impartito informazioni su questioni di rilevanza politica, ma piuttosto per il luogo ed il modo in cui l’avevano fatto. Tuttavia, la sanzione contestata ha avuto la conseguenza di limitare le successive attività giornalistiche dei ricorrenti, vale a dire la rendicontazione diretta del lavoro parlamentare.
Sottolineando che né l’ordine del relatore né la decisione impugnata dai ricorrenti hanno specificato il periodo di restrizione e che le successive richieste di autorizzazione dei richiedenti per entrare in Parlamento sono state lasciate senza risposta, è stata dichiarata la violazione dell’art. 10 della Conv.

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