La CEDU sul nuovo sistema albanese di risarcimento per espropriazioni di epoca comunista (CEDU, sez. II, sent. 7 maggio 2020, ric. n. 29026/06)

La Corte Edu si pronuncia sul caso di numerosi ricorrenti (tutti albanesi ad eccezione di tre americani) che lamentavano la prolungata mancata esecuzione di decisioni definitive di risarcimento del danno per proprietà espropriate durante il regime comunista.
Di fronte a molte domande di tal genere, la Corte nel 2012 aveva emanato una sentenza pilota (Manushaqe Puto e aa. c. Albania), con la quale aveva dichiarato la violazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione e dell’art. 1 del Protocollo n.1, proprio a causa della prolungata mancata esecuzione delle decisioni definitive di risarcimento. In quell’occasione, la Corte aveva, altresì, rilevato la violazione dell’art. 13, non esistendo un rimedio interno efficace ed infine, ai sensi dell’art. 46, aveva fornito raccomandazioni circa le misure che l’Albania avrebbe dovuto adottare per affrontare tali questioni. Ebbene, nel 2015 il Parlamento albanese ha approvato il cd. “Property Act”, “Legge sulla Proprietà” destinata, tra l’altro, a finalizzare l’esame dei crediti relativi a beni confiscati e regolamentare e disporre i risarcimenti.

I ricorrenti, invocando la violazione degli artt. 6 § 1 e 13 della Convenzione, nonché dell’art. 1 del Protocollo n. 1, hanno lamentato la mancata concessione da parte delle autorità di un risarcimento conforme alle decisioni interne finali e la mancanza di un rimedio efficace per tale questione. Essi hanno sostenuto, tra l’altro, che non avrebbero dovuto ricorrere a un rimedio introdotto diversi anni dopo la presentazione della propria domanda alla Corte e che, l’applicazione retroattiva della legge sulla proprietà del 2015 avrebbe violato il principio della certezza del diritto, essendo, peraltro, la compensazione prevista molto più bassa rispetto alla legislazione precedente, in quanto basata sulle categorie catastali del momento dell’esproprio e non sulle attuali.

Trattandosi delle prime domande esaminate dopo l’introduzione del Property Act del 2015, la Corte ha proceduto ad un esame dettagliato di tale provvedimento normativo, per valutare l’efficacia del rimedio ivi previsto e la sua utilizzabilità da parte dei ricorrenti. Ebbene, all’esito di tale analisi, la Corte ha concluso per l’efficacia del meccanismo introdotto nel 2015 ed ha ritenuto i ricorrenti tenuti ad utilizzare il suddetto rimedio, nonostante le rispettive domande fossero state presentate prima dell’entrata in vigore della richiamata legge. Di qui la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi in esame (alcuni per mancato esperimento dei rimedi domestici, altri perché ancora in corso i procedimenti interni, altri ancora, perché i ricorrenti non potevano più dirsi vittime di violazioni, avendo già percepito risarcimenti completi).

La Corte ha aggiunto, tuttavia, una condizione fondamentale per la legittimità del rimedio interno: poiché, in effetti, le valutazioni degli immobili utilizzate dal provvedimento del 2015 potrebbero comportare, in alcuni casi, livelli di indennizzo molto più bassi rispetto alla legislazione precedente, al fine di tutelare gli ex proprietari, si dispone che l’importo complessivo del risarcimento- indipendentemente dalla sua forma – debba ammontare almeno al 10% del valore calcolato in riferimento all’attuale categoria catastale della proprietà espropriata.

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