Responsabilità medica da ritardo nella diagnosi: prime dimissioni del paziente e mancata rilevazione delle condizioni di salute (Cass. Civ., Sez. III, ord. 29 gennaio 2019- 19 febbraio 2020, n. 4245)

La Cassazione torna sulla responsabilità medica da ritardo nella diagnosi. La Corte, invero, ha ritenuto che la ritardata diagnosi non possa che incidere negativamente sulla qualità di vita del paziente, in quanto nell’arco di tempo intercorrente tra la diagnosi omessa o errata e quella esatta, il paziente ha dovuto patire uno stato di sofferenza psicofisica, senza alcun minimo beneficio. La carenza di informazioni sull’effettivo stato di salute del paziente al momento delle prime dimissioni, è inoltre incompatibile con l’affermazione successiva in base alla quale la sua situazione non si era aggravata nel tempo tra l’inizio del primo e del secondo ricovero. I dati clinici mancanti sarebbero sempre rilevanti anche sul piano probatorio attesa la loro natura oggettiva e scientifica, per fondare ogni ipotesi di responsabilità. Il paziente, nell’ipotesi in cui gli venga correttamente e tempestivamente diagnosticata una patologia che possa comportare anche un esito infausto, è posto nelle condizioni non solo di scegliere quale iniziativa adottare per il periodo corrente tra la diagnosi e l’esito purtroppo infausto, secondo conoscenze scientifiche, ma anche di programmare il suo vivere e, quindi, di ottimizzare le sue attitudini psicofisiche.

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