La cancellazione dei diplomi per cause non imputabili agli studenti viola l’art. 8 Conv.(CEDU, sez. IV, sent. 3 marzo 2020, ric. n. 30547/14)

La Corte EDU interviene sul diritto alla vita privata sancito dall’art. 8 della convenzione. Nel caso in esame, i ricorrenti ritengono che la cancellazione dei loro diplomi di stato, a sei anni dall’ ottenimento, abbia violato il diritto al rispetto della vita privata. A causa di questa cancellazione, ritengono di non poter neppure essere in grado di esercitare la loro professione e ciò, naturalmente, si è ripercosso sui loro rapporti professionali e sul reddito loro e delle loro famiglie. Naturalmente, il possesso dei diplomi statali è la condizione sine qua non per l’accesso alla professione di specialista in odontoiatria. Le irregolarità amministrative addotte nei loro confronti sono imputabili all’Università e al Ministero della Pubblica Istruzione.
Il governo rumeno non è stato d’accordo con la ricostruzione dei richiedenti, ma la Corte ha sostenuto la loro tesi. Infatti, essa ha affermato che era ovvio che i richiedenti abbiano programmato l’ottenimento del diploma in odontoiatria, al fine di poter esercitare la professione. In tale contesto, la cancellazione dei loro diplomi ha avuto conseguenze non solo sul modo in cui avevano forgiato la loro identità sociale attraverso lo sviluppo di relazioni con gli altri, ma anche sulla loro vita professionale nella misura in cui il loro livello di qualifica è stato messo in discussione.
La Corte ha osservato che i richiedenti soddisfacevano le condizioni imposte dalla legislazione nazionale sul riconoscimento degli studi. Tanto è comprovato dal fatto che le autorità avevano consentito ai richiedenti non solo di iscriversi all’Università e di proseguire gli studi, ma anche di partecipare agli esami finali. I richiedenti non avrebbero avuto ragioni apparenti per proseguire sei anni di studi in medicina dentale e partecipare agli esami finali se l’Università avesse loro rifiutato la registrazione amministrativa.
In conclusione, la Corte ritiene che le misure contestate non soddisfacevano un’esigenza sociale urgente e che in ogni caso non erano proporzionate agli scopi legittimi perseguiti. Pertanto non erano necessarie in una società democratica. Pertanto c’è stata una violazione dell’art. 8 della convenzione

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