La CEDU su partiti, referendum e libertà di espressione (CEDU, Grande Camera, sent. 20 gennaio 2020, ric. n. 201/17)

La Corte Edu si pronuncia sul caso riguardante il Magyar Kétfarkú Kutya Párt, un partito politico ungherese, che nel settembre 2016 aveva lanciato un’applicazione per consentire agli elettori di mostrare e commentare, attraverso dispositivi di tipo mobile, le schede elettorali non valide compilate in occasione del referendum sui piani di ricollocamento dei migranti dell’Unione europea. Il referendum, tenutosi nell’ottobre 2016 su richiesta del governo, poneva agli elettori la seguente domanda: “Desideri che l’Unione europea abbia il diritto di ordinare l’obbligatorio insediamento in Ungheria di cittadini non ungheresi senza il consenso del Parlamento?”

Nel corso della campagna, diversi partiti di opposizione avevano invitato gli elettori a boicottare il referendum o ad esprimere voti non validi, non computabili nel conteggio finale, ma interpretabili come contrari rispetto al quesito referendario. Nel contesto di tale opposizione, il partito ricorrente aveva lanciato l’applicazione mobile, chiamata “Cast an invalid ballot”, che, appunto, consentiva agli elettori di pubblicare anonimamente fotografie di schede elettorali, non valide o valide, nonché commenti sulle ragioni del voto espresso. A seguito di una denuncia da parte di un privato, la National Election Commission (NEC) aveva multato il partito, avendo ritenuto che l’app costituiva attività di campagna elettorale in violazione delle regole in tema di correttezza dei procedimenti elettorali, segretezza di voto ed esercizio dei diritti conformemente al loro scopo. La Kúria (Corte suprema) aveva confermato la decisione solo in ordine al profilo relativo alla violazione del principio dell’esercizio dei diritti in conformità con il loro scopo, riducendo l’ammenda. Il ricorso alla Corte costituzionale era, invece, stato ritenuto inammissibile. Il partito aveva così adito la Corte Edu lamentando una violazione del diritto alla libertà di espressione, ex art. 10 Cedu, violazione dichiarata all’unanimità con la sentenza del 23 gennaio 2018. I Giudici di Strasburgo, avevano, infatti, attribuito all’applicazione un valore meramente comunicativo, consentendo la stessa agli elettori di esprimersi su una questione di interesse pubblico. La circostanza, evidenziata anche dalla Kúria, che non fosse possibile identificare gli elettori attraverso il caricamento anonimo e la pubblicazione delle fotografie, escludeva influenze sull’equo svolgimento delle operazioni di voto. Di qui la constatazione che la restrizione della libertà di espressione della parte ricorrente non era stata funzionale al perseguimento di alcuno scopo legittimo ai sensi dell’art. 10, paragrafo 2 della Convenzione. Il 28 maggio 2018 era stata accettata la richiesta del governo ungherese di deferire il caso alla Grande Camera, che con la sentenza in oggetto ha sostanzialmente confermato la predetta decisione: il partito ricorrente aveva esercitato il suo diritto alla libertà di espressione, lanciando l’applicazione mobile ed incoraggiando gli elettori a esprimere voti non validi; le azioni delle autorità statali avevano interferito con l’esercizio di quel diritto, interferenza giustificabile solo in determinate circostanze e a determinate condizioni, tra cui l’esistenza di una norma di legge in tal senso, accessibile, chiara e prevedibile quanto agli effetti. Ebbene, per la Grande Camera, le norme della legge sulla procedura elettorale (APE), utilizzate dalle autorità e dai tribunali interni per sanzionare il partito, erano sì sufficientemente accessibili, ma la questione chiave era verificare se la parte ricorrente avrebbe potuto sapere che scattare e caricare fotografie di schede elettorali e di documenti in forma anonima comportava violazione della legge elettorale, non essendoci alcun elemento specifico in tal senso nella legislazione di riferimento. Si richiama, al riguardo, anche una sentenza della Corte costituzionale del 2008, secondo cui l’APE non ha definito ciò che può essere considerato violazione del principio dell’esercizio dei diritti in conformità con il loro scopo, spettando, così, alla Commissione elettorale nazionale ed ai tribunali valutare caso per caso. La mancanza di chiarezza nelle disposizioni di legge impone, quindi, particolare cautela da parte delle autorità nazionali nella loro interpretazione, al fine di non conculcare l’esercizio del diritto di voto, anche impedendo la libera discussione su questioni di pubblico interesse. La Corte Edu ha, pertanto, accertato, nel caso di specie, l’avvenuta violazione della Convenzione conseguente alla notevole incertezza sui potenziali effetti delle disposizioni di legge applicate dalle autorità nazionali, tale da non escludere decisioni arbitrarie e da non consentire alla parte ricorrente di regolare opportunamente la propria condotta.

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