Il raid notturno in casa degli indagati viola l’art. 8 della Convenzione se non risulta essere proporzionato all’obiettivo perseguito nelle indagini (CEDU, sez. I, sent. 30 gennaio 2020, ric. n. 28926/10)

La Corte EDU si pronuncia sul diritto al rispetto della vita privata, su richiesta del Sig. Vinks e della Sig.ra Ribcka. I due ritengono che il raid notturno da loro subito, da parte degli agenti dell’antiterrorismo, sia stato condotto in maniera brutale, andando a ledere anche i diritti della loro figlia. Secondo quanto stabilito dall’art. 8 della Convenzione “Ognuno ha il diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, della sua casa e della sua corrispondenza. Non vi devono essere interferenze da parte dell’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto salvo che non sia conforme alla legge […]”.
Il governo lettone ha affermato che, con quell’azione aveva perseguito l’obiettivo di prevenire la criminalità, poiché era stata condotta nell’ambito del procedimento penale relativo all’evasione fiscale e al riciclaggio di denaro. La perquisizione nella casa del richiedente è risultata, però, essere ingiustificata a causa del fatto che esso non era collegato a nessuna delle società coinvolte nel riciclaggio del denaro. Il mandato di ricerca a suo carico è stato emesso in relazione all’evasione fiscale, che costituisce un reato che incide sulle risorse degli Stati e sulla loro capacità di agire nell’interesse collettivo, soprattutto in questo caso, in cui si sospettava che oltre 7 milioni di euro fossero stati trasportati illecitamente.
Tuttavia, solo ragioni molto serie potrebbero giustificare un’intrusione così grave nello spazio privato dei richiedenti, arrivando anche a rompere le finestre e a puntare le pistole sulla figlia adolescente, nelle prime ore del mattino.
Il rischio di abuso di autorità e di violazione della dignità umana è insito proprio in questo: i richiedenti sono stati affrontati nella loro casa nelle prime ore del mattino da un numero di poliziotti appositamente addestrati per l’antiterrorismo.
La Corte afferma che gli Stati, quando adottano misure per prevenire la criminalità e per proteggere i diritti, possono ritenere necessario, ai fini della prevenzione speciale e generale, ricorrere a misure come questa, al fine di poter ottenere prove di determinati reati in una sfera in cui sarebbe altrimenti impossibile identificare il colpevole. Inoltre, il coinvolgimento delle unità speciali di polizia può essere ritenuto necessario solo in determinate circostanze.
In questo specifico caso, però, vista la gravità dell’interferenza con il diritto al rispetto alla vita privata dei richiedenti, si sarebbero dovute adottare garanzie adeguate ed efficaci contro tali abusi. Date le circostanze, la Corte rileva che le garanzie disponibili non sono riuscite a garantire un’efficace protezione del diritto dei richiedenti di rispettare la loro vita privata. Pertanto, questa interferenza, non può essere considerata proporzionata all’obiettivo perseguito, ed è proprio per questo motivo che è stata dichiarata la violazione dell’art. 8 della Convenzione.

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