Non integra un falso la fotocopia contraffatta di un atto pubblico inesistente (Cass. Pen., Sez. Un., sent. 28 marzo – 7 agosto 2019, n. 35814)

Le Sezioni Unite si pronunciano in merito alla delimitazione dell’ambito di operatività del reato di falso materiale (di cui agli artt. 476 e 482 c.p.) in riferimento alla peculiare ipotesi della formazione della copia di un atto inesistente. A tale riguardo si era registrato un contrasto interpretativo tra due opposti orientamenti. Secondo una prima impostazione giurisprudenziale la mera utilizzazione della fotocopia contraffatta di un atto inesistente non integrerebbe il reato di falsità materiale, in assenza di requisiti di forma e di sostanza tali da dare alla fotocopia la parvenza di un documento originale o come la copia autentica di esso. A tenore di un secondo orientamento ermeneutico, al contrario, costituirebbe un’ipotesi di falso materiale la riproduzione fotostatica di un documento in realità inesistente, del quale la copia intenda attestare artificiosamente l’esistenza e gli effetti probatori. In tale contesto, le Sezioni Unite hanno affermato che la formazione della copia di un atto inesistente non integra il reato di falsità materiale, «salvo che la copia assuma l’apparenza di un atto originale».Al contempo resta ferma, stante la decettività della condotta in esame e la sua potenziale attitudine a trarre in inganno i terzi, l’applicabilità della fattispecie di truffa (ex art. 640 c.p.) ove ricorrano i presupposti.

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