Roma, 16 gennaio 2019 – Come Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà ho atteso che calasse il clamore attorno all’operazione che ha riportato Cesare Battisti alla doverosa realtà dell’esecuzione di quella pena che la giustizia gli ha inflitto per quanto commesso. Un punto di arrivo che avrebbe richiesto un atteggiamento sobrio sul piano istituzionale e su quello della comunicazione. Non è stato così. E poiché alle parole che cercano – in contrasto con la nostra Costituzione – di dare alla pena il significato del «marcire in carcere», si sono aggiunti i video che dettagliatamente riprendono le varie fasi della traduzione in carcere della persona estradata, ritengo doveroso richiamare quanto affermato dal nostro ordinamento penitenziario, che all’articolo 42- bis comma 4, prescrive che nelle traduzioni siano «adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità». L’articolo prosegue prevedendo sanzioni disciplinari per chi non osservi tale disposizione: certamente il legislatore non poteva supporre che fossero i vertici delle Istituzioni a non rispettarla. Questo video postato dal ministro della giustizia e pubblicato sulla rivista online ministeriale purtroppo si aggiunge a quel riferimento al «marcire» che il ministro dell’interno ha più volte espresso in suoi video: riferimento che indica una finalità della pena detentiva opposta a quella voluta dalla nostra Costituzione. Il Garante se da un lato confida – sulla base della più volte affermata volontà del ministro della giustizia del pieno rispetto della dignità di ogni persona – che si provvederà a rimuovere tali video, d’altro canto ritiene suo compito ricordare che epiteti, frasi e immagini che puntano ad acquisire consenso attraverso il ricorso a un linguaggio del tutto estraneo a quello del Costituente, finiscono per consolidare una cultura di disgregazione sociale e di tensione di cui il Paese non ha certamente bisogno.
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