La Corte ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12-sexies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui include il delitto di ricettazione tra quelli per i quali, nel caso di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, è sempre disposta la speciale confisca – cosiddetta “allargata” – prevista dal medesimo art. 12-sexies. La presunzione di illegittima acquisizione dei beni oggetto della misura resta circoscritta, comunque sia, in un ambito di cosiddetta «ragionevolezza temporale». Il momento di acquisizione del bene non dovrebbe risultare, cioè, talmente lontano dall’epoca di realizzazione del “reato spia” da rendere ictu oculi irragionevole la presunzione di derivazione del bene stesso da una attività illecita, sia pure diversa e complementare rispetto a quella per cui è intervenuta condanna. Si tratta di una delimitazione temporale corrispondente, mutatis mutandis, a quella che le stesse sezioni unite hanno ritenuto operante con riferimento alla misura affine della confisca di prevenzione antimafia, anch’essa imperniata sull’elemento della sproporzione tra redditi e disponibilità del soggetto: misura che si è ritenuta trovare un limite temporale nella stessa pericolosità sociale del soggetto, presupposto indefettibile per la sua applicazione. La ricordata tesi della «ragionevolezza temporale» risponde, in effetti, all’esigenza di evitare una abnorme dilatazione della sfera di operatività dell’istituto della confisca “allargata”, il quale legittimerebbe altrimenti un monitoraggio patrimoniale esteso all’intera vita del condannato. Risultato che rischierebbe di rendere particolarmente problematico l’assolvimento dell’onere dell’interessato di giustificare la provenienza dei beni (ancorché inteso come di semplice allegazione), il quale tanto più si complica quanto più è retrodatato l’acquisto del bene da confiscare.
Questa Corte non può astenersi, peraltro, dal formulare l’auspicio che la selezione dei “delitti matrice” da parte del legislatore avvenga, fin tanto che l’istituto conservi la sua attuale fisionomia, secondo criteri ad essa strettamente coesi e, dunque, ragionevolmente restrittivi. Ad evitare, infatti, evidenti tensioni sul piano delle garanzie che devono assistere misure tanto invasive sul piano patrimoniale, non può non sottolinearsi l’esigenza che la rassegna dei reati presupposto si fondi su tipologie e modalità di fatti in sé sintomatiche di un illecito arricchimento del loro autore, che trascenda la singola vicenda giudizialmente accertata, così da poter veramente annettere il patrimonio “sproporzionato” e “ingiustificato” di cui l’agente dispone ad una ulteriore attività criminosa rimasta “sommersa”.