La Corte ha respinto tutte le censure mosse al D.l. n. 65/2015, in piena continuità con la sentenza n. 70 del 2015 che dichiarò invece l’illegittimità costituzionale della disciplina del Dl Salva-Italia. La rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici costituisce uno strumento tecnico teso a salvaguardare le pensioni dall’erosione del potere di acquisto causata dall’inflazione, anche dopo il collocamento a riposo (sentenza n. 70 del 2015, punto 8 del Considerato in diritto, che cita, in proposito, la sentenza n. 26 del 1980). Essa si prefigge di assicurare il rispetto nel tempo dei principi di adeguatezza e di proporzionalità dei trattamenti di quiescenza (ex plurimis, sentenze n. 70 del 2015 e n. 208 del 2014). Questa Corte ha scrutinato i «valori personali inerenti alla tutela previdenziale», ancorati al «principio di solidarietà (sotteso all’art. 38 Cost.) coordinato col principio di razionalità-equità (art. 3 Cost.)», tenuto conto del contenimento della spesa e chiarendo che deve essere comunque salvaguardata la garanzia di un reddito che non comprima le «esigenze di vita cui era precedentemente commisurata la prestazione previdenziale» (sentenza n. 240 del 1994). Essa ha ritenuto raggiungibile un tale obiettivo «per il tramite e nella misura» dell’art. 38, secondo comma, Cost. (sentenza n. 156 del 1991), il che comporta «solo indirettamente» (sentenza n. 361 del 1996) un aggancio all’art. 36, primo comma, Cost., anche al fine di dare un più concreto contenuto al parametro della adeguatezza. Su questo solido terreno è chiamata a esercitarsi la discrezionalità del legislatore, bilanciando, secondo criteri non irragionevoli, i valori e gli interessi costituzionali coinvolti. Da un lato vi è l’interesse dei pensionati a preservare il potere di acquisto dei propri trattamenti previdenziali, dall’altro vi sono le esigenze finanziarie e di equilibrio di bilancio dello Stato (ex plurimis, sentenze n. 70 del 2015, n. 316 del 2010, n. 30 del 2004; ordinanze n. 383 del 2004, n. 531 del 2002, n. 256 del 2001). In questo bilanciamento, il legislatore non può «eludere il limite della ragionevolezza» (sentenza n. 70 del 2015). Ed è tale limite che questa Corte, nella sentenza n. 70 del 2015, ha ritenuto valicato dal previgente comma 25 dell’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, che aveva sacrificato l’interesse dei pensionati, «in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti», a vedere salvaguardato il proprio potere di acquisto in nome di contrapposte esigenze finanziarie di risparmio di spesa «non illustrate in dettaglio».
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