È irragionevole esigere, tra i requisiti per la stipulazione della convenzione urbanistica per tutte le attività svolte nelle attrezzature di interesse comune per servizi religiosi, l’utilizzo della lingua italiana (Corte cost., sent. 7 marzo 2017 – 7 aprile 2017, n. 67)

Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Veneto 12 aprile 2016, n. 12 nella parte in cui, nell’introdurre nella legge regionale 23 aprile 2004, n. 11, l’art. 31-ter, al suo comma 3, dispone che «nella convenzione può, altresì, essere previsto l’impegno ad utilizzare la lingua italiana per tutte le attività svolte nelle attrezzature di interesse comune per servizi religiosi, che non siano strettamente connesse alle pratiche rituali di culto». A fronte dell’importanza della lingua quale «elemento di identità individuale e collettiva» (da ultimo, sentenza n. 42 del 2017), veicolo di trasmissione di cultura ed espressione della dimensione relazionale della personalità umana, appare evidente il vizio di una disposizione regionale, come quella impugnata, che si presta a determinare ampie limitazioni di diritti fondamentali della persona di rilievo costituzionale, in difetto di un rapporto chiaro di stretta strumentalità e proporzionalità rispetto ad altri interessi costituzionalmente rilevanti, ricompresi nel perimetro delle attribuzioni regionali.

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