Contestazioni di aggravanti non risultanti dall’imputazione: la Consulta dichiara la illegittimità dell’art. 517 c.p.p. (Corte Cost. sentenza del 23 giugno 2014, n. 184)

A seguito della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Roma in riferimento agli art. 3 e 24 Cost., la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 517 c.p.p. ”nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento l’applicazione di pena a norma dell’art. 444 c.p.c. (cd. patteggiamento sulla pena) in seguito alla contestazione nel dibattimento di una circostanza aggravante che già risultava dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale”.
Secondo la Consulta l’imputato cui sia stata contestata, nel corso del dibattimento, una circostanza aggravante sulla base di elementi già acquisiti al momento dell’esercizio dell’azione penale è posto nella stessa situazione di chi si è sentito modificare l’imputazione con la contestazione di un fatto diverso. Pertanto “essendo divenuta ammissibile la richiesta di patteggiamento nel caso di modificazione dell’imputazione, a norma dell’art. 516 cod. proc. pen., potrebbe dar luogo a una disparità di trattamento la sua esclusione nel caso della contestazione di una nuova circostanza aggravante, a norma dell’art. 517 cod. proc. pen.” ledendo il diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost.
Inoltre, deve ritenersi violato anche l’art. 3 Cost., “venendo l’imputato irragionevolmente discriminato, ai fini dell’accesso ai procedimenti speciali, in dipendenza della maggiore o minore esattezza o completezza della valutazione delle risultanze delle indagini preliminari da parte del pubblico ministero alla chiusura delle indagini stesse” (cfr sentenza n. 265 del 1994).

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