Libertà di espressione: le critiche nei confronti dei personaggi pubblici hanno limiti di tollerabilità più ampi rispetto a quanto accade per i privati (CEDU, sez. V, sent. 18 aprile 2019, ric. n. 14904/11)

La Corte si pronuncia sul caso di un giornalista e scrittore, condannato dai giudici nazionali al pagamento di un cospicuo risarcimento del danno per le dichiarazioni contenute all’interno di un proprio libro in relazione ad un personaggio pubblico (KT), noto uomo politico a capo di un sindacato nazionale, tacciato di essere un massone, un comunista collegato agli ex servizi segreti, nonché uno “pseudo sindacalista”. La Corte Edu chiarisce subito che il suo compito consiste nel verificare l’effettiva idoneità di tali dichiarazioni ad imputare al ricorrente la responsabilità per danni riconosciuta dai giudici nazionali. Al riguardo, per i Giudici di Strasburgo tali dichiarazioni, certamente discutibili, non si rivelano particolarmente offensive ed idonee a superare il livello di critica che una figura pubblica deve tollerare. Ed infatti, la Corte coglie l’occasione per ribadire che la libertà di espressione si applica non solo alle informazioni e alle idee accolte favorevolmente o considerate inoffensive o indifferenti, ma anche a quelle che offendono, turbano o disturbano. Peraltro, il capo di un sindacato nazionale, nonché figura politica di rilievo, deve essere considerato un pubblico ufficiale e la medesima Corte ha già avuto modo di affermare che le critiche nei confronti dei personaggi pubblici hanno limiti di tollerabilità più ampi rispetto a quanto accade per i privati. Certamente un pubblico ufficiale ha diritto alla protezione della sua reputazione, ma i requisiti di tale tutela devono essere valutati in rapporto all’interesse pubblico ad una discussione aperta su questioni politiche e sociali, poiché le eccezioni alla libertà di espressione devono essere interpretate in senso stretto. Pertanto, indipendentemente dal fatto che l’interferenza delle autorità nazionali con il diritto alla libertà di espressione del ricorrente avrebbe potuto essere giustificata, in linea di principio, al fine di proteggere il buon nome e la reputazione di KT, una sanzione come quella imposta (16.000 euro, pari a cinquantasette salari minimi mensili in Bulgaria) era manifestamente sproporzionata rispetto allo scopo legittimo perseguito. Di qui la conclusione per l’avvenuta violazione dell’articolo 10 della Convenzione. Si osserva, infine, che l’atteggiamento della ricorrente, che aveva continuamente stigmatizzato in maniera irriverente l’operato dei giudici nazionali sui suoi blog, è stato determinante nella scelta della Corte Edu di non riconoscere alla medesima un risarcimento del danno, ritenendo di per sé satisfattiva la dichiarazione di avvenuta violazione dell’art.10 Cedu.

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