Con la pronuncia resa al caso in esame, la Corte di Strasburgo ha deciso il ricorso presentato da un cittadino italiano contro il suo Paese, il quale – invocando l’art. 6 par. 1 CEDU – ha lamentato l’iniquità del processo in cui era imputato per il reato di violenza sessuale. Il ricorrente, assolto dal giudice di prime cure e successivamente condannato in appello, reclamava innanzi alla Corte EDU la violazione del principio ad un equo processo. Nella specie, egli invocava infatti l’applicazione dell’art. 6 par. 1 CEDU, in quanto, in appello, il giudice lo aveva ritenuto colpevole e, quindi, condannato senza che fosse stato direttamente escusso l’unico testimone. Dunque, la Corte d’Appello aveva emesso la sentenza basandosi unicamente sulle trascrizioni delle dichiarazioni rese dalla vittima, peraltro ritenute inattendibili dal giudice di primo grado. Il Governo italiano, respingendo le doglianze del ricorrente, affermava la correttezza dell’iter decisionale seguito e sosteneva non vi fosse stata alcuna violazione della suddetta norma convenzionale, dal momento che il giudice dell’appello aveva formulato il suo giudizio di colpevolezza su un impianto probatorio ben più ampio, comprensivo finanche di intercettazioni telefoniche. Tutto ciò premesso la Corte EDU, dopo aver constatato l’osservanza delle condizioni di ammissibilità del ricorso, ha scrutinato il merito della questione e, richiamando la sua consolidata giurisprudenza, ha rammentato che le modalità di applicazione dell’articolo 6 della Convenzione ai procedimenti di appello dipendono dalle particolarità del procedimento in questione, anche tenuto conto del processo complessivamente condotto nell’ordinamento giuridico interno e del ruolo che vi ha svolto il giudice di appello. Inoltre, ha ricordato ancora che quando un giudice di appello è chiamato a esaminare una causa in fatto e in diritto e a verificare nel complesso la questione della colpevolezza o dell’innocenza dell’imputato, non può, per motivi di equità del processo, decidere di tali questioni senza una diretta valutazione dei mezzi di prova. Per questa via e, in linea di principio, esiste dunque l’obbligo per i giudici di sentire di persona i testimoni e valutarne l’attendibilità. Tale valutazione costituisce, infatti, un’attività complessa che, normalmente, non può essere svolta mediante una semplice lettura del contenuto delle dichiarazioni, come riportate nei verbali delle audizioni. Nel caso di specie, la Corte d’appello di fatto aveva annullato la sentenza di assoluzione resa in primo grado sulla base della trascrizione della testimonianza della presunta vittima e unico testimone del presunto abuso sessuale. Per conseguenza, come si legge nella decisione, se è vero che spettava alla Corte d’Appello valutare i vari elementi di prova raccolti e che l’accusa era corroborata in particolare dal prodotto delle intercettazioni telefoniche, non può non considerarsi quella testimonianza determinante per la incolpazione del ricorrente. Così procedendo, la Corte d’Appello aveva reinterpretato le dichiarazioni rese dal suddetto testimone e, pronunciando una sentenza di colpevolezza senza averlo sentito direttamente, ha leso in modo significativo il diritto dell’imputato a un processo equo. Sicché i giudici di Strasburgo hanno conclusivamente dichiarato leso l’art. 6 par. 1 CEDU e riconosciuto al ricorrente una somma a titolo di risarcimento per danno morale.
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