Il rifiuto di registrare ONG come persone giuridiche viola la libertà di associazione ai sensi dell’art. 11 CEDU (CEDU, sez. I, sent. 20 maggio 2021, ric. n. 46930/10 e altri)

Nella sentenza resa al caso in esame la Corte EDU ha giudicato il ricorso presentato da alcuni fondatori di Organizzazioni non governative (ONG), alle quali – le autorità nazionali – avevano rifiutato la registrazione in qualità di persone giuridiche e ciò in violazione dell’art. 11 della Convenzione. Come si evince dalla ricostruzione dei fatti, in diversi momenti i ricorrenti avevano presentato domanda di registrazione presso il Ministero della Giustizia, debitamente corredata di tutta la documentazione utile e pertinente. La stessa autorità competente aveva però restituito le pratiche per presunte irregolarità documentali, rigettando più volte la pratica. I ricorrenti si erano attivati per contestare i reiterati rifiuti dell’amministrazione poiché le dedotte irregolarità non trovavano – dal loro punto di vista – un puntuale fondamento legale oltre a lamentare il modus operandi del Ministero che non aveva proceduto con un’unica e sola identificazione di tali irregolarità, e, quindi, con un’unica restituzione della pratica. Pertanto, essi chiedevano al giudice competente di ordinare al Ministero la registrazione delle suddette associazioni. Il Tribunale amministrativo rispondeva, ritenendo fondati e legittimi i motivi della mancata registrazione anche in base al diritto positivo vigente secondo il quale il Ministero ha il diritto di rifiutare la registrazione di un’organizzazione come persona giuridica. Tale decisione veniva confermata successivamente dalla Corte d’appello e dalla Corte di Cassazione. Innanzi ai giudici di Strasburgo, il Governo aveva riproposto e confermato le conclusioni delle autorità nazionali ed aveva aggiunto come, nonostante la mancata registrazione, le ONG avessero comunque continuato a funzionare. La Corte EDU ha proceduto, quindi, a verificare se vi fosse stata interferenza e se quest’ultima fosse giustificata. Rispetto al primo profilo, essa ha ritenuto che vi fosse stata interferenza da parte dell’amministrazione nazionale nella misura in cui il rifiuto di registrazione aveva di fatto impedito ai ricorrenti di godere della libertà di associazione. E respingeva, finanche, l’eccezione sollevata dal Governo per la quale, pur senza registrazione, le associazioni avevano comunque continuato ad operare. Quanto al secondo profilo, la Corte ha affermato come tale ingerenza non fosse giustificata né legittima, in quanto i tribunali nazionali non avevano svolto opportune valutazioni circa la correttezza procedurale e la coerenza operativa del Ministero, né avevano chiarito – interpretandola – la disciplina statale sulla registrazione delle associazioni. In proposito, avevano fornito una chiave di lettura ambivalente concernente tanto il diritto del Ministero di rifiutare la registrazione di un’associazione come persona giuridica quanto la restituzione dei documenti da intendersi non come rifiuto di registrazione bensì come richiesta di rettifica della domanda medesima. In proposito la Corte ha osservato che se così fosse il Ministero avrebbe dovuto procedere ad un’unica restituzione per consentire la rettifica della pratica e concedere ai ricorrenti un lasso temporale entro
cui revisionare l’intera la documentazione. Invece, la Corte ha constatato l’inosservanza da parte del Ministero della disciplina statale in materia di registrazione con conseguente illegittimo rifiuto della registrazione. Per conseguenza, l’ingerenza dedotta e riscontrata non è stata considerata prescritta dalla legge né, per questo, necessaria a perseguire uno scopo legittimo e, dunque, in contrasto con l’art. 11 della Convenzione.

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