La CEDU su infanticidio commesso dal padre e status di vittima della madre (CEDU, sez. I, sent. 11 maggio 2021, ric. n. 44166/15)

La Corte Edu si pronuncia sul caso di una ricorrente, il cui figlio, all’epoca dei fatti affidato alla cura del dipartimento di assistenza sociale, responsabile dell’organizzazione di incontri con il padre in un contesto di grande conflittualità tra i genitori del bambino, era stato ucciso dal padre durante uno di questi incontri “protetti”, in un locale pubblico, di proprietà del Comune. In punto di ammissibilità del ricorso presentato dalla madre del bambino, i Giudici di Strasburgo hanno rilevato che la ricorrente non poteva più reclamare lo status di vittima in relazione alla denunciata violazione dell’art. 2, avendo accettato un premio di composizione amichevole di Euro 100.000 nel procedimento civile contro la cooperativa che aveva assunto S.P. (il supervisore presente quando il bambino era stato ucciso) e contro il Comune, ed avendo rinunciato a qualsiasi tipo di azione nei confronti delle altre parti dell’accordo di composizione amichevole.
Nel merito, la Corte, ha osservato che la ricorrente era stata posta nelle condizioni di esperire tutti i rimedi a sua disposizione nel diritto interno al fine di far luce sulle cause della morte del figlio. Ella, invero, aveva adito il tribunale distrettuale nel marzo 2009; durante l’inchiesta la polizia aveva
interrogato numerosi testimoni su richiesta del pubblico ministero e la stessa ricorrente aveva potuto fornire personalmente, durante il procedimento, numerose prove a corredo della sua domanda. Alla luce di tutte le prove raccolte, il tribunale di primo grado, con sentenza del febbraio 2012, aveva assolto le tre persone identificate dalla ricorrente come i principali responsabili degli eventi. La Corte ha escluso che la materializzazione del rischio fosse prevedibile in questo caso, essendo la
responsabilità dei dipendenti dei servizi sociali limitata a garantire il corretto sviluppo del bambino, senza estendersi alla sua sicurezza fisica. A seguito della sentenza della Corte d’Appello del luglio 2013 che aveva riconosciuto una sola persona penalmente responsabile, la Corte di Cassazione aveva annullato tale sentenza, senza disporre un riesame, e sulla base essenzialmente degli stessi argomenti del tribunale di primo grado, aveva assolto la persona interessata. Il procedimento penale
in questione, durato quattro anni nei tre gradi di giudizio, aveva soddisfatto il requisito della tempestività di cui all’articolo 2, e dagli elementi tutti della vicenda non era emerso nulla che potesse far dubitare dell’efficacia dell’indagine condotta dalle autorità. Considerato che sullo Stato convenuto incombono obblighi di mezzi e non di risultato, l’assoluzione dei tre imputati non poteva essere considerata motivo sufficiente per ritenere che il procedimento penale relativo alla morte del
bambino non avesse soddisfatto i requisiti di cui all’art. 2. Tutto quanto sopra rilevato, unitamente alla circostanza che il procedimento civile avviato dalla ricorrente si era concluso con la sottoscrizione di un (fruttuoso) accordo di composizione amichevole tra le parti, ha condotto alla decisione unanime sull’insussistenza di una violazione dell’art.2 Cedu sotto il profilo procedurale.

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