La Corte EDU sulla violazione del principio del ne bis in idem (CEDU, sez. IV, sent. 6 aprile 2021, ric. n. 35623/11)

La decisone resa al caso in esame ha ad oggetto il ricorso presentato da un cittadino bulgaro, il quale ha lamentato di essere stato perseguito e punito per lo stesso reato due volte in violazione del principio del ne bis in idem. Con precedente sentenza, la Corte EDU aveva già riscontrato una violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione. In particolare, aveva ritenuto che, nel contesto del procedimento amministrativo e dei successivi procedimenti penali, il ricorrente fosse stato multato e condannato per gli stessi reati. In quella sede veniva rilevata altresì la violazione dell’articolo 6 §§ 1 e 3 (c) della stessa Convenzione a causa del rifiuto da parte della Corte Suprema di Cassazione di nominare un avvocato d’ufficio per il ricorrente durante la procedura d’esame. A seguito di ciò, il Procuratore generale chiedeva che fosse riaperta la procedura dinanzi alla Corte distrettuale, la quale però con sentenza definitiva confermava la condanna del ricorrente. Per di più, con successiva decisione del PM, si chiariva che il procedimento penale e quello amministrativo fossero basati su due diversi capi d’imputazione e, dunque, non vi fosse una ripetizione dell’accusa. Avverso tale decisione il ricorrente presentava ulteriore ricorso, ma la Corte di Cassazione lo respingeva, rilevando che in base al diritto interno l’imposizione di una sanzione amministrativa non preclude la successiva condanna penale della stessa persona per gli stessi fatti. Di fronte al nuovo ricorso innanzi ai giudici di Strasburgo, il Governo bulgaro ha invitato la Corte a dichiarare inammissibile il ricorso per incompatibilità ratione materiae, osservando che lo scopo principale dell’articolo 4 del Protocollo n. 7 è di impedire la ripetizione di azioni penali a seguito di una condanna definitiva. Nella fattispecie, in occasione della riapertura del procedimento penale, tutte le conseguenze derivanti dal procedimento amministrativo precedentemente condotto erano state annullate e, pertanto, per il governo bulgaro non vi era stata ripetizione del procedimento, e la situazione non costituiva perciò violazione del principio del ne bis in idem. In proposito, la Corte ha ricordato che i principi generali riguardanti i criteri per la compatibilità dei procedimenti, penale e amministrativo, con l’articolo 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione sono stati enunciati in alcune sue precedenti decisioni, per cui la menzionata disposizione convenzionale non esclude lo svolgimento di procedimenti misti, purché si dimostri sia l’assenza di ripetizione di processi o di sanzioni (bis) sia la sussistenza – tra i due procedimenti – di un “sufficientemente stretto legame materiale e temporale” tanto da risultare integrati “in un insieme coerente”. Gli elementi rilevanti per pronunciarsi sull’esistenza di una connessione sufficientemente stretta richiedono che le procedure siano rivolte a finalità complementari non solo in abstracto ma anche in concreto e che il procedimento non si diluisca troppo nel tempo, anche nel caso in cui il regime nazionale pertinente preveda un “meccanismo integrato” comprendente una componente amministrativa e penale separata. In applicazione di tali principi di tono più generale, la Corte ha ritenuto non ricorressero – nel caso di specie – le suddette condizioni. In particolare, l’assenza di un legame materiale sufficientemente stretto tra le due procedure ha determinato che il ricorrente fosse perseguito e punito due volte per lo stesso reato, in violazione del principio del ne bis in idem, e le autorità nazionali non hanno riconosciuto il diritto del ricorrente a non essere processato o punito due volte per lo stesso reato durante il secondo esame del suo caso. Di conseguenza, per i giudici di Strasburgo vi è stata violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione.

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