Il divieto di indossare il velo rappresenta una restrizione necessaria alla protezione dei diritti e delle libertà altrui (CEDU, sez V, 26 novembre 2015, ric. n. 64846-11)

La Corte osserva che le Corti nazionali hanno confermato il mancato rinnovo del contratto di lavoro della ricorrente affermando esplicitamente che il principio della neutralità dei funzionari si applica a tutti i servizi pubblici, e non solo a quello di insegnare, e si propone di proteggere gli utenti da qualsiasi rischio di influenza, anche della propria libertà di coscienza.
La Corte ha già affermato che gli Stati possono invocare i principi di laicità e neutralità dello Stato per giustificare restrizioni di indossare simboli religiosi dai dipendenti pubblici, in quanto il loro status di pubblico ufficiale li distingue dall’essere normali cittadini, poiché rappresentanti dello Stato nell’esercizio di “una carica pubblica” (vd. Ahmet Arslan e altri c. Turchia, n o 41135/98, § 48, 23 Febbraio 2010).
Allo stesso modo, la Corte, nelle circostanze del caso in cui la ricorrente è impiegata in un ospedale pubblico, dove la stessa è in contatto con i pazienti, ha ritenuto necessario che la stessa si astenesse dall’esprimere le sue convinzioni religiose nell’esercizio delle sue funzioni al fine di garantire la parità di trattamento dei malati e la neutralità del servizio ospedaliero pubblico.
La Corte ha ritenuto che le autorità nazionali non hanno superato il margine di valutazione, anzi sono nella posizione migliore per valutare la proporzionalità della sanzione disciplinare irrogata che doveva determinarsi con riferimento a tutte le circostanze in cui una violazione del requisito di neutralità è stato accertato essere incompatibile con l’art. 9 della Convenzione.
Per la Corte non vi è stata alcuna violazione dell’art. 9 nel decidere di far prevalere l’esigenza di neutralità e imparzialità dello Stato rispetto alle convinzioni religiose della ricorrente.

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