La Corte Edu sulla legittimità delle misure cautelari privative della libertà personale (CEDU, sez. II, sent. 14 novembre 2023, ric. nn. 57325/19 e 16291/20)

La questione esaminata dalla Corte nel presente giudizio verte sulla legittimità delle misure cautelari applicate nei confronti del ricorrente in diversi procedimenti penali; misure consistenti nella privazione della libertà personale ora in carcere ora agli arresti domiciliari. A tal riguardo la Corte precisa come, a livello generale, i principi applicabili nella valutazione delle misure restrittive della libertà personale non si differenzino in ragione del luogo in cui tale privazione avvenga, sia esso il carcere o una privata abitazione; inoltre, sebbene le misure cautelari siano applicate in momenti diversi, la valutazione dovrà essere comprensiva dell’intero periodo di privazione della libertà.
Nel caso di specie, e in occasione del primo procedimento penale, la Corte riconosce l’esistenza di un ragionevole sospetto circa la colpevolezza dell’imputato, tale da giustificare l’applicazione di una misura cautelare ablativa della libertà; al contrario, l’applicazione di misure cautelari nel secondo procedimento si è basata esclusivamente sul rischio di fuga dell’imputato ma senza una valutazione concreta ed effettiva della situazione personale del ricorrente, omettendosi quindi di fornire una più seria giustificazione circa l’inflizione di simili misure (specie sotto l’aspetto della proporzionalità). In altri termini, le autorità giudiziarie hanno fornito una motivazione soltanto formale ma non anche sostanziale, basata su circostanze concrete.
A ciò si aggiunga che, a dispetto di quanto stabilito dall’art. 5 della Convenzione Edu – che consente la privazione della libertà soltanto in casi tassativamente elencati – il giudice ha invertito l’onere della prova a carico del ricorrente.
Per queste ragioni, la Corte ritiene che, sebbene i motivi a sostegno dell’applicazione di misure cautelari potessero essere considerati “rilevanti”, essi non fossero altrettanto “sufficienti” per giustificare la privazione della libertà personale del ricorrente, integrando così una violazione dell’art. 5 della Convenzione.

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