La Corte Edu sulla pubblicazione di fotografie e altri dati personali di soggetti imputati in procedimenti penali (CEDU, sez. III, sent. 20 giugno 2023, ric. n. 36705/16)

Il caso esaminato dalla Corte Edu concerne la presunta violazione dell’art. 8 della Convenzione per
effetto della pubblicazione a mezzo stampa (per un periodo di sei mesi) di fotografie e dati
personali della ricorrente, imputata in un procedimento penale; in particolare, la ricorrente
lamentava che la pubblicazione fosse stata eseguita su ordine del pubblico ministero senza che la
medesima ne fosse stata avvertita, senza che potesse impugnare la decisione e senza che la sua
posizione fosse distinta da quella del suo coimputato.
Da un punto di vista generale, la Corte ha ribadito che la necessità di proteggere la riservatezza di
alcuni tipi di dati personali deve essere talvolta controbilanciata con l’esigenza di tutelare
l’interesse pubblico dei procedimenti giudiziari sebbene la pubblicazione di informazioni personali
(specie se si tratti di una fotografia) dovrebbe comunque soddisfare un’esigenza sociale imperativa
ed essere strettamente limitata alle caratteristiche specifiche del procedimento.
A tal riguardo, la Corte osserva come, nel caso di specie, si sia verificata sine dubio una ingerenza
nel diritto al rispetto della vita privata della ricorrente; tuttavia, a norma dell’art. 8, par. 2, della
Convenzione, simile ingerenza appariva conforme alla legge e finalizzata al perseguimento di uno
degli scopi legittimi menzionati nella disposizione convenzionale, essendo stata ordinata con
l’obiettivo di proteggere la società e favorire la raccolta di ulteriori informazioni in relazione a tali
o ulteriori reati. Resta però da comprendere se tale ingerenza fosse anche “necessaria in una società democratica” e, dunque, se risponde a un “urgente bisogno sociale”, se è proporzionata allo scopo legittimo perseguito e se le ragioni addotte dalle autorità nazionali per giustificarla siano “pertinenti e
sufficienti”; quanto al primo dei requisiti enunciati, la Corte ha ravvisato la sussistenza di un
“urgente bisogno sociale” poiché la pubblicazione dei dati personali avrebbe potuto rivelarsi utile
ai fini dell’accertamento di altri reati in cui la ricorrente e i suoi coimputati avrebbero potuto essere
coinvolti.
Tuttavia la Corte stigmatizza la mancata previsione, nell’ordinamento giuridico greco, dell’obbligo
di avvertire il soggetto imputato per alcune categorie di reati (come quello nel caso specifico di
costituzione o adesione ad un’organizzazione criminale) dell’avvenuta pubblicazione di fotografie
e altri dati personali, tanto che la ricorrente ne era stata informata solo accidentalmente tramite
suoi amici.
Inoltre, la ricorrente non ha avuto alcuna possibilità né di essere sentita prima dell’adozione della
decisione né di chiedere un riesame del provvedimento con cui era stata ordinata la pubblicazione.
Infine, la Corte prende atto del fatto che l’annuncio della polizia pubblicato sui media non faceva
alcuna distinzione tra gli imputati e tra le diverse fattispecie di reato di cui essi erano accusati per
cui non rifletteva accuratamente la situazione e le accuse pendenti nei confronti di ciascun
imputato. Ciò considerato, la Corte ritiene che l’ingerenza nel diritto della ricorrente al rispetto della sua vita privata non fosse sufficientemente giustificata nelle particolari circostanze del caso e che risultasse
sproporzionata rispetto alle finalità legittime perseguite, riscontrandosi quindi una violazione
dell’articolo 8 della Convenzione.


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