La causa riguarda la decisione delle autorità nazionali con la quale è stato ordinato al ricorrente di ritrattare una dichiarazione resa durante un colloquio, in quanto ritenuta falsa e diffamatoria. Per il ricorrente tale dichiarazione costituiva un giudizio di valore e l’ordine di ritrattarla aveva violato il suo diritto alla libertà di espressione ex art. 10 della Convenzione. La Corte non ha avuto motivo di dubitare che tale ingerenza avesse una base giuridica e che mirasse allo scopo legittimo della protezione della reputazione o dei diritti altrui. Di conseguenza, la questione che ha valutato ha riguardato se l’interferenza fosse necessaria in una società democratica. Premesso che i principi generali relativi alla necessità di un’ingerenza nella libertà di espressione mirano a riconoscere un elevato livello di protezione della libertà di espressione, qui, nel caso di specie, la Corte ha innanzitutto verificato che la dichiarazione del ricorrente non fosse una dichiarazione di fatto, bensì un giudizio di valore e, quanto al suo dovere di non oltrepassare i limiti di una critica accettabile, ha osservato che il ricorrente essendo un personaggio pubblico e un noto uomo d’affari avrebbe potuto influenzare l’opinione pubblica in misura maggiore rispetto ad una persona sconosciuta al grande pubblico. Ciononostante, la Corte non ha ritenuto le frasi pronunciate dal ricorrente diffamatorie e, pertanto, ha concluso che l’ordine di ritrattare le dichiarazioni rese non possa essere considerato necessario in una società democratica, con conseguente violazione dell’art. 10 CEDU.
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