La Corte Edu sulla mancata adozione di misure necessarie a garantire l’integrità psico-fisica diun minore in ambito famigliare (CEDU, sez. I, sentenza del 19 ottobre 2023, ric. n. 48618/22)

Il caso esaminato dalla Corte nella decisione in oggetto verte sulla presunta violazione del diritto al
rispetto della vita familiare di cui all’art. 8 della Convenzione.
In particolare, i ricorrenti lamentano che le autorità nazionali non abbiano adottato le misure
necessarie per il mantenimento di un corretto rapporto familiare tra gli ex coniugi e il figlio minore
e per la protezione di quest’ultimo dalla manipolazione psicologica esercitata dalla madre.
Per quanto riguarda la tutela dell’integrità fisica e morale di un individuo nei confronti degli altri,
specie se si tratta di un minore, la Corte ha già affermato che gli obblighi positivi gravanti sugli Stati
(pure nel rispetto del loro margine di apprezzamento) implicano l’adozione di misure efficaci e
ragionevoli volte a prevenire i maltrattamenti di cui le autorità erano a conoscenza o avrebbero
dovuto essere a conoscenza, nonché una prevenzione efficace volta a proteggere i bambini da forme
così gravi di attacco all’integrità personale.
Nel caso di specie, la Corte osserva in primo luogo come la decisione di collocare il minore in un
istituto “semiresidenziale”, seppure pertinente, sia stata eseguita troppo tardivamente, alimentando
lo stato di profondo disagio del minore a causa della convivenza con la madre e dell’influenza
negativa esercitata su di lui dai nonni materni; in secondo luogo, i giudici evidenziano come le
autorità nazionali, e in particolare il tribunale dei minori, non solo abbiano ritardato eccessivamente
lo svolgimento di una perizia psicologica sul minore ma abbiano altresì ordinato una misura (quella
del graduale ritorno del minore al domicilio materno) in evidente contrasto con le risultanze della
perizia ove invece si suggeriva la continuazione del collocamento del minore in istituto e il
successivo graduale trasferimento al domicilio paterno.
La Corte ricorda infatti che eventuali carenze di uno Stato nell’organizzazione del proprio sistema
giudiziario non possono giustificare l’omissione di misure volte a rispettare gli obblighi positivi
discendenti dalla Convenzione e che in tali situazioni, specie se il comportamento o l’inattività delle
autorità abbiano delle ripercussioni sulla vita privata o familiare dei ricorrenti, gli Stati hanno
l’obbligo derivante dall’articolo 8 di escogitare rimedi preventivi per impedire violazioni di tale
disposizione.
In conclusione, la Corte ritiene che i ritardi e le inadempienze dei tribunali nazionali abbiano
prodotto ripercussioni negative sul rispetto del diritto alla vita privata dell’interessato,
determinando così una violazione della disposizione convenzionale.

Redazione Autore