La Corte EDU sulla libertà di espressione in Internet (CEDU, sez. I, sent. 7 settembre 2023, ric. n. 77940/17)

La decisione resa dalla Corte Edu si inquadra nell’ambito delle pronunce giurisdizionali in tema di
libertà di espressione in “Internet”.
Più esattamente, la Corte è stata investita di un ricorso da parte di una società privata, proprietaria
di un portale di notizie online, la quale era stata condannata al pagamento di un risarcimento per
avere ospitato sul proprio sito la pubblicazione di alcune dichiarazioni rese da terzi, ritenute false e
diffamatorie, riguardanti la vita privata di un personaggio pubblico (rectius: i fatti riguardavano
alcune vicende occorse durante il servizio militare del Presidente dell’Ungheria).
Richiamandosi alla pregressa giurisprudenza in tema di libertà di stampa e, in particolare, al ruolo
di public watchdog che i giornalisti sono tenuti ad assumere nello svolgimento della propria
professione, la Corte ritiene che nel caso di specie l’interferenza praticata dai tribunali nazionali
con l’esercizio della libertà di espressione da parte della società ricorrente non fosse “necessaria” in
una società democratica.
A parere dei giudici, infatti, anche la pubblicazione di notizie sulla vita privata di personaggi
pubblici può contribuire a soddisfare un interesse generale e, in questo caso, beneficia
indubbiamente della tutela di cui all’articolo 10 della Convenzione.
Facendo applicazione di tali principi generali, i giudici osservano come i tribunali nazionali
abbiano omesso di compiere qualsiasi valutazione circostanziata della vicenda, limitandosi a
riconoscere in capo alla società ricorrente una responsabilità oggettiva per la pubblicazione di tali
dichiarazioni; una conclusione che, a parere dei giudici, si pone in netta contraddizione con
l’orientamento da essa maturato secondo il quale “la sanzione di un giornalista per aver
contribuito alla diffusione di dichiarazioni rese da un’altra persona in un’intervista ostacolerebbe
gravemente il contributo della stampa alla discussione di questioni di interesse pubblico e non
dovrebbe essere previsto, a meno che non vi siano ragioni particolarmente valide per farlo”.
Per questi motivi, la Corte ritiene che i tribunali nazionali abbiano deciso in maniera non conforme
ai principi stabiliti dalla Convenzione sulla libertà di espressione, riscontrandosi una violazione
dell’articolo 10.

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