Strasburgo condanna l’Italia per un caso di amministrazione di sostegno in violazione del diritto alla privacy (CEDU, sez. I, sent. 6 luglio 2023, ric. n. 46412/21)

La Corte EDU ha deciso il ricorso sollevato contro la Repubblica italiana e concernente la presunta
violazione dell’art. 8 della Convenzione per un caso di disposizione sotto tutela legale di una
persona anziana collocata presso una casa di riposo ospedaliera in isolamento sociale dal mondo
esterno. Per il giudice tutelare la misura dell’amministrazione di sostegno avrebbe dovuto
costituire una tutela adeguata sebbene, come risulta dagli atti, non sussistesse alcuna prova circa la
compromissione delle facoltà mentali dell’anziano, essendo basata la stessa misura sulla eccessiva
prodigalità e sull’indebolimento fisico e psichico di questi.
I giudici di Strasburgo hanno ribadito che privare una persona della sua capacità giuridica, anche
parzialmente, è una misura molto grave che dovrebbe essere riservata a circostanze eccezionali.
Nel caso di specie, è stato osservato poi che la persona era sotto la completa dipendenza del suo
amministratore in quasi tutti gli ambiti e senza limiti di durata, e che le autorità hanno, in pratica,
abusato dell’elasticità della misura in parola per perseguire le finalità che la legge italiana assegna,
con dei rigorosi limiti, al TSO, la cui disciplina legislativa è stata dunque elusa mediante un ricorso
arbitrario all’amministrazione di sostegno.
I giudici della Corte EDU hanno evidenziato inoltre come non sia stato previsto alcun intervento
finalizzato al rientro dell’interessato presso la propria abitazione, sebbene l’affidamento fosse stato
deciso in via provvisoria. Per questi motivi, è stato ritenuto che mentre l‘ingerenza, ai sensi
dell’art. 8 della Convenzione, perseguiva lo scopo legittimo di proteggere il benessere in senso lato
della persona anziana, essa era, tuttavia, in considerazione della gamma di misure che le autorità
avrebbero potuto predisporre, né proporzionata né adattata alla situazione individuale. Di
conseguenza, la stessa ingerenza non è rimasta nei limiti del margine di discrezionalità riservato
all’autorità giudiziaria nazionale con conseguente violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

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