La Corte Edu sul diritto dei magistrati ad esprimere la propria opinione su riforme costituzionali in tema di magistratura (CEDU, sez. II, sent. del 6 giugno 2023, ric. n. 63029/19)

La decisione resa dalla Corte è stata pronunciata all’esito di un ricorso proposto contro la Turchia
da parte di una magistrata la quale era stata sanzionata dal Consiglio dei giudici e dei pubblici
ministeri per aver rilasciato un’intervista, pubblicata su un quotidiano nazionale, in merito al
referendum per l’approvazione di una legge di riforma costituzionale che apportava importanti
modifiche all’organizzazione della magistratura; referendum poi svoltosi il 16 aprile 2017.
In primo luogo, la Corte afferma che nel caso di specie trovano applicazione i principi generali,
elaborati nella sua pregressa giurisprudenza, in tema di libertà di espressione dei giudici i quali
tuttavia, proprio per la particolare missione del potere giudiziario, sono tenuti a ponderare
l’esercizio della predetta libertà con il dovere di riservatezza ogni qualvolta l’autorità e
l’imparzialità della magistratura rischiano di essere messe in discussione ovvero quando si
esprimano critiche nei confronti di altri dipendenti pubblici e, in particolare, nei confronti di altri
giudici.
Per tale ragione, la Corte ritiene che l’imposizione di una sanzione alla ricorrente per le opinioni
espresse in occasione dell’intervista abbia costituito un’indebita ingerenza nell’esercizio del suo
diritto alla libertà di espressione. Peraltro, i giudici osservano che all’epoca dei fatti la ricorrente
ricopriva anche l’incarico di segretario generale del Sindacato dei giudici, un’organizzazione
sindacale operante in difesa dello stato di diritto e dell’indipendenza della magistratura, e che in
tale veste essa aveva non soltanto il diritto ma anche il dovere di pronunciarsi sulle questioni
suscettibili di incidere sulla magistratura e sull’indipendenza della giustizia, così come quelle
implicate dal referendum indetto nel Paese.
A parere della Corte, tutte le osservazioni formulate dalla ricorrente, piuttosto che costituire una
critica rivolta a persone o istituzioni mirate, si sono limitate a fare emergere le sue preoccupazioni
circa il contesto in cui la riforma costituzionale era avvenuta e le modalità con cui essa era stata
attuata, il rischio di una possibile degenerazione del sistema in un regime autoritario e, infine, le
implicazioni delle modifiche costituzionali sull’organizzazione e sul funzionamento degli organi
giudiziari e sull’indipendenza della magistratura.
Tali dichiarazioni, quindi, concernevano senz’altro una questione di grande interesse pubblico –
che dovrebbe essere aperta al libero dibattito in una società democratica – e dunque richiedevano
un elevato livello di protezione.
Inoltre, la Corte sottolinea come la sanzione imposta alla ricorrente, pure se relativamente
moderata, abbia esercitato, per sua stessa natura, un effetto deterrente non solo sulla ricorrente
stessa, ma anche sulla magistratura nel suo insieme e, in particolare, sui magistrati che desiderano
partecipare a dibattiti pubblici su questioni che possono avere un impatto sulla magistratura e
sulla sua indipendenza.
Sulla scorta di quanto osservato, la Corte ritiene che la sanzione disciplinare inflitta alla ricorrente
non possa essere considerata una misura necessaria in una società democratica con conseguente
violazione dell’articolo 10 della Convenzione.

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