La Corte EDU sul tema della segregazione scolastica di bambini di origine rom (CEDU, sez. I, sent. 30 marzo 2023, ric. n. 24408/16)

Con la decisione resa al caso in esame, la Corte Edu si è pronunciata sulla questione della segregazione scolastica all’interno di una scuola primaria ungherese frequentata (quasi esclusivamente) da studenti rom. Nel merito, i giudici di Strasburgo hanno richiamato la pregressa giurisprudenza sul tema, ribadendo che la discriminazione basata sull’origine etnica di una persona deve essere considerata come una forma di discriminazione razziale e che quest’ultima necessita di una vigilanza speciale e di una reazione vigorosa da parte delle autorità nazionali; una protezione speciale che, in modo particolare, deve essere assicurata nei confronti dei rom i quali rappresentano un tipo specifico di minoranza svantaggiata e vulnerabile. Ne consegue che l’educazione dei bambini rom in classi o scuole segregate senza l’adozione di adeguate misure volte a correggere le disuguaglianze cui sono soggetti difficilmente potrebbe essere considerata compatibile con gli obblighi positivi posti a carico dello Stato di non discriminare gli individui sulla base dell’origine etnica. La Corte ha altresì affermato che nessuna disparità di trattamento fondata esclusivamente o in misura determinante sull’origine etnica di una persona può essere oggettivamente giustificata in una società democratica contemporanea edificata sui principi del pluralismo e del rispetto delle diverse culture. Nel caso di specie, il ricorrente lamentava la presunta segregazione cui era stato esposto nella scuola primaria e il fatto che, a causa della sua origine etnica rom, gli fosse stato rifiutato il trasferimento presso un’altra scuola che avrebbe potuto offrirgli un’istruzione più appropriata anche in considerazione di un lieve disturbo dell’apprendimento da cui egli è affetto. A tal riguardo, i giudici hanno riscontrato una condizione di effettiva segregazione dei bambini di origini rom all’interno della scuola primaria frequentata dal ricorrente, evidenziandosi altresì il mancato impegno delle autorità ungheresi nel correggere una tale diseguaglianza. Sicché, pur in assenza di un qualsiasi intento discriminatorio da parte delle autorità statali, la Corte ha ritenuto che la disparità di trattamento cui il ricorrente è stato sottoposto durante la sua formazione non possa essere ragionevolmente giustificata dal perseguimento di uno scopo legittimo. Né lo Stato ha adottato misure adeguate al fine di correggere la situazione ed evitare il suo perpetuarsi e la conseguente discriminazione. Di qui, l’accertata violazione dell’Articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l’Articolo 2 del Protocollo N.ro 1 alla Convenzione.

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