Con la decisione in esame pronunciata contro l’Azerbaigian, la Corte di Strasburgo ha esaminato le doglianze sostenute dal ricorrente, attivista politico e membro del movimento civico NIDA, circa l’asserita violazione dell’art. 5 della CEDU. In particolare, il ricorrente lamentava di essere stato arrestato per avere partecipato ad una manifestazione e di essere stato condannato alla pena della detenzione ma che tali misure non fossero basate su un ragionevole sospetto circa la sua colpevolezza e che non fossero state fornite ragioni sufficienti e pertinenti per giustificare la detenzione. A tal riguardo, la Corte precisa anzitutto come già in una serie di cause promosse contro l’Azerbaigian relative allo stesso periodo della causa in oggetto, essa aveva riscontrato che il vero scopo degli arresti e delle detenzioni era quello di mettere a tacere e punire i ricorrenti per le loro critiche contro il governo, per il loro attivo impegno sociale e politico e per impedire loro di continuare tali attività, specie se si trattava di membri del gruppo NIDA. Nel caso di specie, i giudici di Strasburgo, tenuto conto di alcuni elementi quali la tempistica dell’arresto e dell’avvio del procedimento penale contro il ricorrente, le modalità di svolgimento delle indagini e il comportamento osservato dalle autorità, hanno ritenuto il mancato soddisfacimento dello standard minimo stabilito dall’art. 5 CEDU per l’arresto e il proseguimento della detenzione di un individuo. In altre parole, non è stato dimostrato in modo soddisfacente che il ricorrente sia stato privato della libertà per il “ragionevole sospetto” di aver commesso un reato. Per questi motivi, la Corte ha dichiarato la fondatezza del ricorso.
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