La Corte EDU ha deciso il ricorso presentato contro la Repubblica dell’Azerbaigian da alcuni cittadini, membri di un gruppo politico, per aver – le autorità nazionali – negato loro l’autorizzazione allo svolgimento di assemblee pubbliche pacifiche, così violando il loro diritto alla libertà di riunione ai sensi dell’articolo 11 nonché il diritto alla libertà di espressione previsto dall’articolo 10 della Convenzione. La Corte ha osservato che il rifiuto opposto ha costituito senz’altro un’ingerenza con il diritto dei ricorrenti alla libertà di riunione in quanto non solo non “prescritta dalla legge”, ma anche ingiustificata essendo le ragioni e le motivazioni del diniego del tutto infondate. Come ha osservato infatti la Corte di Strasburgo, le autorità nazionali non hanno argomentato fondatamente circa gli “ostacoli insormontabili” che tali assemblee avrebbero causato alla circolazione del traffico e al buon funzionamento dei trasporti. Per di più, la decisione dei tribunali nazionali conferma – a dir della Corte EDU – un potere discrezionale illimitato e finanche arbitrario che espone a grave rischio la tutela dei diritti dei ricorrenti. Entro tale prospettiva, la stessa verifica se l’interferenza fosse necessaria in una società democratica ha condotto la Corte a ritenere che il diritto alla libertà di riunione include il diritto di scegliere l’ora, il luogo e le modalità di svolgimento dell’assemblea, nei limiti stabiliti nel paragrafo 2 dell’articolo 11. Pertanto, laddove l’ubicazione dell’assemblea è cruciale per i partecipanti, un ordine di modifica può costituire un’ingerenza ingiustificata con la loro libertà di riunione. Secondo la Corte, anche di fronte alla prova di seri problemi alla libera circolazione delle persone e dei trasporti, tale elemento da solo (di per sé) non può fungere da motivo sufficiente per vietare lo svolgimento delle assemblee nei luoghi previsti. Inoltre, le autorità nazionali hanno omesso di prendere in considerazione il fatto che le assemblee in questione erano state pianificate dai ricorrenti come membri di un gruppo politico e che lo scopo delle medesime era di protestare, manifestare opinioni su varie questioni di interesse pubblico. Per conseguenza, la Corte ha ritenuto che le stesse non abbiano addotto ragioni “rilevanti e sufficienti” per giustificare l’ingerenza con il diritto alla libertà di riunione dei ricorrenti e non siano riuscite a trovare un giusto equilibrio tra gli interessi concorrenti in gioco. L’ingerenza è stata, quindi, sproporzionata rispetto a qualsiasi fine legittimamente perseguibile e ha violato l’art. 11 CEDU.
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