Con la decisione resa al caso in esame la Corte EDU ha condannato lo Stato bulgaro per violazione dell’art. 2 della Convenzione e, in particolare, per non aver predisposto misure necessarie a garantire il diritto alla vita della Sig.ra XXX, vittima di violenza domestica. I ricorrenti hanno imputato alle autorità nazionali di aver omesso accurate ed approfondite indagini sulla presunta violazione dell’ordine di protezione nei confronti della stessa; omissione dalla quale ne è derivato l’omicidio. Come noto, per la Corte EDU esiste un obbligo positivo ai sensi dell’art. 2 CEDU, consistente nell’adozione da parte delle autorità nazionali di misure operative preventive per proteggere la vita di chi è a rischio di violenza altrui. Nel caso di specie, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che le autorità bulgare, nonostante l’esistenza di comprovanti elementi (ripetute denunce ed ordini di protezione emessi), non abbiano effettuato un’idonea valutazione del rischio né adottato misure preventive adeguate alle circostanze. E pur non spettando alla Corte EDU stabilire l’entità o la qualità delle misure da adottare, essa ha ritenuto come il pericolo fosse reale ed immediato e che, sulla base di un giudizio ragionevole, si sarebbe dovuto evitare. E se sotto questo profilo la Corte ha riscontrato la violazione dell’art. 2 CEDU, essa, tuttavia, ha ravvisato come simile violazione non fosse derivata da sentimenti discriminatori contro le donne. Per conseguenza, non vi è stata violazione dell’articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 2.
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