La decisione resa al caso XXX c. Grecia origina dal ricorso di un cittadino greco, il quale aveva lamentato la violazione degli articoli 3 e 13 CEDU, per aver ricevuto un trattamento degradante durante la sua detenzione di quindici giorni nei locali del Dipartimento di sicurezza di Salonicco e per la mancanza di un ricorso effettivo innanzi all’autorità nazionale. La Corte ha ricordato di avere già riscontrato una violazione dell’articolo 3 della Convenzione in casi simili. Infatti, prescindendo dalle specifiche circostanze relative alla detenzione nelle rispettive fattispecie, la Corte ha fondato la sua conclusione in virtù della natura delle stazioni di polizia, quali luoghi destinati ad accogliere persone per un breve periodo e, comunque, non superiore a sei giorni. Nella presente causa, la Corte non ha potuto non osservare che la detenzione del ricorrente ha violato anche la normativa nazionale, che prevede il trattenimento dell’imputato presso il commissariato per il tempo strettamente necessario al suo trasferimento in carcere o quando non sia possibile il suo immediato trasferimento in carcere. Anche alla luce delle rilevazioni del CPT, la Corte ha ritenuto che, sulla base della valutazione complessiva delle condizioni materiali della detenzione del ricorrente, il trattamento detentivo ha superato la soglia di gravità richiesta dall’art. 3 della Convenzione con conseguente violazione. Quanto, infine, alla presunta violazione dell’art. 13 CEDU, la Corte ha rammentato che detta disposizione garantisce l’esistenza nel diritto interno di un ricorso per doglianze considerate “discutibili” ai sensi della Convenzione e che, nella specie, la disciplina nazionale di accompagnamento al codice civile non può considerarsi un rimedio effettivo con conseguente violazione dell’articolo 13 in combinato disposto con l’articolo 3 CEDU.
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