Nel caso in esame il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 10 CEDU per essere stato condannato per i reati di oltraggio e diffamazione a danno di persona giuridica all’esito di dichiarazioni da lui rese in un’audizione davanti alla Commissione parlamentare per l’etica, la società e la cultura. Il ricorrente, un noto giornalista, era stato audito sul tema della libertà di espressione e dei media ed aveva rilasciato opinioni personali. All’esito infatti delle suddette dichiarazioni veniva avviato un procedimento penale di primo grado a suo carico con conseguente condanna. Nella sua decisione, il Tribunale penale di Lisbona aveva ritenuto la condotta dell’imputato dolosa (dolo generico). E la Corte d’Appello, confermando tale verdetto, riteneva necessario un test di proporzionalità tra diritto all’onore e libertà di espressione. La Corte EDU, dopo aver ritenuto ammissibile il ricorso, ha chiarito che la protezione della reputazione della persona giuridica non ha la stessa forza della protezione della reputazione delle persone fisiche, stante la differenza tra la reputazione di una persona giuridica e la reputazione di un individuo. E mentre quest’ultima può avere ripercussioni sulla dignità dell’individuo, la prima invece è priva di quella dimensione morale. Tuttavia, nel caso di specie, le dichiarazioni del ricorrente avevano esercitato notevole influenza sull’etica giudiziaria e, dunque, l’ingerenza da parte delle autorità appariva strumentale a proteggere la fiducia del pubblico nella magistratura. In ragione di ciò, la Corte EDU si è riservata di verificare se l’ingerenza denunciata fosse “necessaria in una società democratica”. In proposito, essa ha ricordato che per valutare la necessità di un’ingerenza nell’esercizio della libertà di espressione va considerato il contesto in cui tale libertà si esercita, e la tutela sarà normalmente accordata quando le osservazioni riguardano una questione di interesse pubblico. Inoltre, si legge ancora nella sentenza, occorre distinguere tra dichiarazioni di fatto e giudizi di valore. L’esistenza dei fatti può essere dimostrata, mentre la verità dei giudizi di valore non è suscettibile di prova. L’obbligo di provare la veridicità di un giudizio di valore è impossibile e viola la stessa libertà di opinione, che costituisce una parte fondamentale del diritto sancito dall’art. 10 CEDU. Nella specie, la Corte ha rilevato che la maggior parte delle affermazioni del ricorrente consistevano in sue opinioni personali, la cui veridicità non è suscettibile di prova e che nonostante il ricorrente non fosse un rappresentante eletto avrebbe dovuto beneficiare di un elevato livello di protezione. In conclusione, i giudici di Strasburgo hanno ritenuto che i tribunali nazionali non abbiano fornito ragioni pertinenti e sufficienti per giustificare l’ingerenza con il diritto del ricorrente alla libertà di espressione e che non vi sia un ragionevole rapporto di proporzionalità tra la restrizione al diritto del ricorrente alla libertà di espressione e lo scopo legittimo perseguito con conseguente violazione dell’art. 10 della Convenzione.
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