La tutela della “vita familiare” tra superiore interesse del minore e paternità (CEDU, sez. II, sent. 30 novembre 2021, ric. n. 25450/20)

Nella presente causa, la Corte EDU ha definito il ricorso presentato da due ricorrenti (nonni) nell’interesse di un minore (nipote), affidato al padre biologico dopo aver vissuto i suoi primi cinque anni di vita con loro. Nella specie, i giudici di Strasburgo hanno valutato il modo in cui i tribunali nazionali hanno tenuto conto dell’interesse superiore del bambino nel rispetto dell’art. 8 della Convenzione. Prima di scrutinare il merito, la Corte di Strasburgo ha risolto la questione sotto il profilo della sua ammissibilità e ha verificato la legittimazione processuale dei due ricorrenti. Per la Corte, l’oggetto e lo scopo della Convenzione come strumento per la protezione dei singoli esseri umani richiede che le sue disposizioni, sia procedurali che sostanziali, siano interpretate e applicate in modo da rendere le sue garanzie sia pratiche che effettive. In questo contesto, la posizione dei minori ai sensi dell’articolo 34 necessita di una specifica ermeneusi, la quale prescinde da un approccio restrittivo o tecnico, affinché trovino piena tutela i diritti del bambino. In proposito, la Corte ha ricordato le condizioni necessarie sulle quali si fonda la legittimazione processuale in casi come quello alla sua attenzione. E tra queste: i) l’esistenza di un legame sufficientemente stretto tra il minore e il ricorrente; ii) il rischio che, in assenza di tale denuncia, il minore sia privato di una tutela effettiva dei suoi diritti; iii) l’assenza di qualsiasi conflitto di interessi tra il minore e la persona che lo rappresenta. Constatata l’esistenza di tutte le suddette condizioni il ricorso è stato dichiarato ammissibile. Quanto al merito, la Corte ha ribadito in generale che il mutuo godimento da parte dei genitori e dei figli della reciproca compagnia costituisce un elemento fondamentale della “vita familiare” ai sensi dell’articolo 8 CEDU, anche se il rapporto tra i genitori è venuto meno. La Corte ha precisato poi che può esserci “vita familiare” ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione tra nonni e nipoti, là dove vi sia un legame sufficientemente stretto. Alla luce di tale premessa, essa ha verificato se le ragioni addotte dalle autorità nazionali, volte ad affidare il minore al padre biologico, fossero “pertinenti e sufficienti” ai fini dell’articolo 8 § 2 della Convenzione, e se i tribunali interni avessero svolto un esame approfondito dell’intera situazione familiare e di tutta una serie di fattori, in particolare quelli di natura fattuale, affettiva, psicologica, materiale e medica, formulando all’esito dello stesso un’equilibrata e ragionevole valutazione degli interessi di ciascuna persona, con una preoccupazione costante per l’interesse superiore del minore. Accertata l’esistenza di uno stretto legame familiare tra i nonni ed il nipote, la vulnerabilità di quest’ultimo ed il rischio per la sua salute fisica e mentale, le decisioni prese dalle autorità interne hanno costituito un’ingerenza nel diritto dei ricorrenti alla loro vita familiare. Esse sono apparse altresì “non necessarie”, dal momento che le autorità nazionali non avevano effettuato un esame sufficientemente approfondito circa il rapporto (in)esistente tra il padre biologico ed il minore né avevano adeguatamente bilanciato il superiore interesse del bambino anche per via dell’assenza di misure transitorie e preparatorie volte ad assistere il figlio e suo padre nella costruzione della loro relazione familiare.

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