Con il pronunciamento reso al caso in esame, la Corte EDU ha deciso il ricorso presentato dall’Osservatorio elettorale (XXX), e da due cittadini azeri, contro la Repubblica dell’Azerbaigian, col quale veniva lamentata la violazione degli articoli 11 e 34 della Convenzione. L’associazione ricorrente è una ONG specializzata nel monitoraggio delle elezioni. I cofondatori avevano avanzato diverse richieste di registrazione al competente Ministero della Giustizia, senza ottenere tempestiva risposta. In ragione di ciò, essi denunciavano la violazione delle disposizioni nazionali relative alla registrazione da parte delle autorità statali, che nel non concedere per tempo all’associazione stessa lo status di persona giuridica, e disponendo il suo successivo scioglimento, avevano leso il loro diritto alla libertà di associazione. Congiuntamente all’art. 11 della Convenzione, i ricorrenti lamentavano finanche la violazione del diritto al ricorso individuale, conseguente al sequestro del loro fascicolo presso l’ufficio del legale rappresentante. Di contro, il Governo sosteneva la piena legalità delle azioni intraprese dal Ministero della Giustizia, argomentando come le stesse fossero giustificate sulla base di una documentazione incompleta e non congruente con i requisiti richiesti dalla legge. La Corte EDU ha analizzato la questione sotto diversi profili. In primis, sulla liceità dell’addotta interferenza dovuta al ritardo della registrazione, essa ha ritenuto che le asserite violazioni imputate ai ricorrenti fossero “carenze procedurali sanabili”. Pertanto, la restituzione degli atti senza la specificazione di un termine entro il quale rettificare la documentazione utile per la registrazione, ha provocato un significativo ritardo di per sé costitutivo di un’ingerenza nel diritto alla libertà di associazione. Tale ingerenza non può essere neppure considerata “prescritta dalla legge” ai sensi dell’articolo 11 § 2 della Convenzione, dal momento che non era stato adeguatamente dimostrato che i reiterati rifiuti di registrazione avessero lo scopo di assicurare il rispetto della legge e, quindi, la “prevenzione del disordine”. Analogamente, per i giudici di Strasburgo il successivo scioglimento dell’Associazione XXX era stato ingiustificato e non necessario in una società democratica, ricordando a tale proposito che quando la Corte effettua il suo controllo deve esaminare l’ingerenza lamentata alla luce del caso nel suo complesso e determinare i) se essa sia “proporzionata allo scopo legittimo perseguito”; ii) se le ragioni addotte dalle autorità nazionali per giustificarla siano “pertinenti e sufficienti”; iii) e se le autorità nazionali abbiano applicato norme conformi ai principi sanciti dalla Convenzione. Qui nella specie, la Corte ha ritenuto che i tribunali nazionali non avessero addotto ragioni “pertinenti e sufficienti” per giustificare lo scioglimento dell’Associazione, ribadendo peraltro come il diritto di costituire un’associazione per agire collettivamente in un ambito di reciproco interesse è uno degli aspetti più importanti della libertà di associazione, senza la quale tale diritto sarebbe privo di qualsiasi significato. E sebbene, nell’ambito dell’articolo 11, la Corte stessa abbia più volte fatto riferimento al ruolo essenziale svolto dai partiti politici nell’assicurare il pluralismo e la democrazia, anche le associazioni costituite per altri fini sono importanti per il buon funzionamento della democrazia. Quanto, infine, alla violazione dell’art. 34 CEDU, i giudici di Strasburgo hanno stabilito che il sequestro dell’intero fascicolo relativo al ricorso pendente dinanzi alla Corte, insieme a tutti gli altri fascicoli di causa, aveva costituito un ostacolo all’esercizio del diritto di ricorso individuale.
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