La CEDU sul diritto a non essere processato o punito due volte per lo stesso reato (CEDU, sez. III, sent. 2 novembre 2021, ric. n. 38958/16)

La Corte Edu si pronuncia sul caso di un uomo, condannato alla pena di venti anni di reclusione per diversi reati, tra cui l’omicidio, con sentenza del 1993 (modificata nel 1995). Nel 2013, quando il ricorrente aveva ormai scontato la sua pena, è stato riaperto il procedimento a suo carico ed è stata
disposta la sua successiva ulteriore detenzione preventiva, in virtù di un nuovo metodo analitico relativo al suo stato mentale, che ha condotto il perito psichiatra a concludere per l’esistenza di un rischio molto elevato di commissione di ulteriori violenti reati. La sentenza del tribunale di condanna del 1993/1995 e l’ordinanza che disponeva la successiva detenzione del ricorrente nel 2013 erano collegate in conseguenza dell’applicazione delle norme sulla riapertura dei procedimenti. Secondo i giudici interni, in applicazione di tali norme, l’ordinanza sulla successiva carcerazione preventiva sarebbe parte della prima sentenza di condanna del tribunale. La Corte Edu ha osservato che nel procedimento riaperto in questione non era stata effettuata alcuna nuova determinazione dell’accusa penale nei confronti del ricorrente ed ha ritenuto che tale procedimento si configurasse di fatto come irrogazione di un’ulteriore sanzione volta a tutelare la società per un reato per il quale XXXXX era stato precedentemente già condannato, senza che vi fossero nuovi elementi che incidessero sulla natura del reato o sull’entità della colpevolezza del
ricorrente. La Corte, quindi, ha escluso che la procedura di riapertura in questione fosse idonea a creare un nesso di causalità tra la condanna iniziale e la successiva carcerazione preventiva del ricorrente, ai fini dell’art. 5 § 1 (a), sicché la sua detenzione non poteva essere considerata giustificata da tale disposizione. Sotto altro profilo, la Corte ha osservato che, nel procedimento in questione, i tribunali nazionali avevano affermato che il ricorrente soffriva di un grave disturbo della personalità e di una psicopatia e che, a causa di tale condizione, vi era un rischio molto elevato di commissione di ulteriori gravi reati violenti, ove rilasciato. Tuttavia, il ricorrente era stato detenuto in un carcere ordinario e non in un istituto idoneo alla detenzione di pazienti con disturbi mentali, circostanza che ha portato la Corte ad escludere che fossero rispettate, altresì, le previsioni di cui all’art. 5 § 1 (e). Inoltre, i Giudici di Strasburgo hanno accertato che la successiva ordinanza di custodia cautelare del ricorrente poteva essere equiparata all’irrogazione retroattiva di una pena più grave, con conseguente violazione (decisa anche su questo punto all’unanimità) dell’art. 7 § 1. Infine, secondo i giudici interni la successiva detenzione preventiva sarebbe stata imposta a seguito della riapertura del processo in circostanze eccezionali, in conformità ai requisiti dell’art. 4 § 2 del Protocollo n. 7 della Cedu. Tuttavia, posto che la riapertura in questione non aveva fatto emergere alcun nuovo elemento che influisse sulla natura dei reati commessi dal ricorrente o sull’entità della sua colpevolezza, né vi era stata alcuna nuova determinazione di un’accusa penale in una nuova
decisione, i Giudici di Strasburgo hanno escluso potersi configurare nel caso di specie una riapertura del caso conforme ai dettami dell’art. 4 § 2 del Protocollo n. 7. Anche in ordine a tale profilo, pertanto, la Corte ha concluso all’unanimità per l’avvenuta violazione della citata disposizione ed ha previsto un risarcimento di EUR 40.000 per danno morale.

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