La CEDU su imposizione automatica del cognome paterno, seguito da quello materno, in caso di disaccordo tra i genitori (CEDU, sez. III, sent. 26 ottobre 2021, ric. n. 30306/13)

La Corte Edu si pronuncia sul caso di una donna che aveva chiesto senza successo alle autorità spagnole di invertire l’ordine dei cognomi (paterno e materno) con cui era stata registrata all’anagrafe la figlia minorenne, nata nel 2005. All’epoca la legge spagnola prevedeva che in caso di disaccordo tra i genitori, il figlio avrebbe portato il cognome del padre seguito da quello della madre. La ricorrente ha lamentato il carattere discriminatorio di tale disciplina. La Corte ha rilevato che l’art. 194 del regolamento di attuazione della legge sulla registrazione di nascite, matrimoni e decessi era stato modificato dalla legge n. 20/2011, che prevedeva che in caso di disaccordo tra i genitori spetterebbe al “giudice dello stato civile” decidere sull’ordine dei cognomi del bambino, tenendo conto dell’interesse superiore del bambino quale principale elemento di valutazione. Tuttavia, tali nuove disposizioni non erano applicabili alla figlia della ricorrente, già sedicenne.
Secondo i Giudici di Strasburgo, non appariva validamente giustificata alla luce della Convenzione l’automaticità dell’applicazione della norma, che aveva impedito ai tribunali nazionali di tenere conto delle particolari circostanze del caso in esame (come l’insistenza iniziale del padre per
interrompere la gravidanza, o il fatto che la bambina aveva portato solo i due cognomi della madre dal momento della sua nascita e per più di un anno, per non essere stata riconosciuta immediatamente dal padre). La Corte ha osservato che due individui in una situazione simile, la madre (ricorrente) ed il padre della bambina, erano stati trattati in modo diverso e la distinzione era basata esclusivamente sul genere; né poteva giustificare tale differenza di trattamento il riferimento a presunte tradizioni sociali, generali o maggioritarie, o atteggiamenti prevalenti in un dato paese. Ebbene, mentre la regola che il cognome paterno debba venire prima, nei casi in cui i genitori non siano d’accordo, potrebbe rivelarsi necessaria nella pratica e non è di per sé necessariamente incompatibile con la Convenzione, l’impossibilità di ottenere una deroga è stata giudicata eccessivamente rigorosa e discriminatoria nei confronti delle donne. Inoltre, pur potendo affermarsi che anteporre il cognome paterno possa servire allo scopo della certezza del diritto, lo stesso scopo potrebbe essere raggiunto collocando il cognome materno in quella medesima posizione. Il Governo ha negato l’esistenza di una discriminazione, sostenendo che la figlia della ricorrente avrebbe potuto, se desiderato, modificare l’ordine dei suoi cognomi una volta raggiunta l’età di 18 anni. Nessuna considerazione dall’impatto indiscutibile che una misura di tale durata potrebbe avere sui diritti della personalità e di identità di un minore, obbligato a dare la precedenza al cognome di un padre con cui è imparentato solo biologicamente. Le motivazioni addotte dal Governo non erano apparse, pertanto, sufficientemente obiettive e ragionevoli per giustificare la differenza di trattamento imposta alla ricorrente. Di qui la conclusione dell’avvenuta violazione del divieto di discriminazione e del diritto al rispetto della vita privata e familiare.

Redazione Autore