Con la decisione resa al caso in esame, la Corte EDU ha definito i ricorsi di quattro cittadini ucraini, i quali avevano lamentato la violazione dell’art. 1 del Protocollo n. 12 della Convenzione, per non essere stati autorizzati a partecipare alle elezioni locali del luogo ove erano stati registrati come sfollati interni. In buona sostanza, essi denunciavano la violazione del loro diritto di voto e, per tale ragione, avevano presentato ricorso amministrativo innanzi ai tribunali nazionali non ottenendo, però, la reintegrazione nelle liste elettorali. Tale esclusione veniva confermata anche dalla Corte d’appello, secondo la quale i ricorrenti non appartenevano alle comunità territoriali di riferimento e, quindi, non avevano il diritto di partecipare alle votazioni locali. Alla luce di siffatto quadro, la Corte EDU ha scrutinato la questione, ribadendo dapprima alcuni principi generali in materia di divieto di discriminazione. A tal proposito, essa ha ritenuto che l’articolo 1 del Protocollo n. 12 contempla un divieto generale di discriminazione e, soffermandosi sul contenuto e l’estensione del divieto stesso, ha precisato che una questione può definirsi discriminatoria allorché si applichi un trattamento differenziato per situazioni analoghe o, per lo più, simili. Inoltre, il diritto a non essere discriminato è violato anche quando gli Stati, senza una giustificazione obiettiva e ragionevole, non trattano diversamente situazioni differenti. In applicazione di tale principio, i giudici di Strasburgo hanno verificato se nel caso di specie si fosse realizzata una situazione discriminatoria ovvero se i ricorrenti si trovassero in una condizione significativamente diversa tale da richiedere un trattamento che li mettesse – di fatto – su un piano di parità con gli altri cittadini ucraini sotto il profilo del godimento del loro diritto di voto. Lo status di “sfollati interni” collocava i ricorrenti in una situazione diversa rispetto a quella dei cittadini con residenza elettorale; tale situazione avrebbe, pertanto, richiesto misure volte a garantire l’eguale diritto di voto. In questo senso, la Corte ha ribadito che esistono numerosi modi di organizzare e gestire i sistemi elettorali e una ricchezza di differenze nella diversità culturale e nel pensiero politico all’interno dell’Europa che spetta a ciascuno Stato contraente plasmare nella propria visione democratica. Posta tale precisazione, la decisione ha fatto leva anche sulla circostanza per cui i ricorrenti, pur contribuenti e fruitori di servizi locali di quella comunità territoriale, non avevano avuto riconosciuto il diritto di partecipare agli affari locali. Mentre nessun rilievo, ai fini del ragionamento conclusivo della Corte, ha avuto la constatazione dell’intervenuta modifica della disciplina interna, la quale di fatto ha reso possibile agli sfollati interni di essere integrati nell’elenco delle liste elettorali per le votazioni locali. E, per conseguenza, la Corte non ha potuto non rilevare come, all’epoca dei fatti, le autorità nazionali, negando la partecipazione dei ricorrenti alle votazioni locali, avessero violato l’art. 1 del Protocollo n. 12 della Convenzione e, con esso, il divieto generale di discriminazione.
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