Nel caso che si segnala il ricorrente ha lamentato innanzi alla Corte EDU la violazione dell’art. 2 sotto il suo profilo procedurale, denunciando l’eccessiva durata dei procedimenti civili da lui avviati e volti ad ottenere il risarcimento per danni subiti in seguito a trasfusioni di sangue. In ragione di ciò, il ricorrente aveva già ottenuto, a titolo di indennizzo, una somma di denaro, ritenuta però dallo stesso non assimilabile al risarcimento del danno, ed avente – anche alla luce del diritto interno – natura assistenziale. Per il Governo convenuto, il ricorrente aveva ricevuto tutto quanto dovuto e previsto dalla legge nazionale, avendo lo stesso esercitato sia l’azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. sia la richiesta di risarcimento ai sensi della disciplina nazionale in materia di indennizzo per danni irreversibili provocati da vaccinazioni, trasfusioni e somministrazione di emoderivati infetti. Il Governo riteneva altresì che la sollevata censura dovesse essere analizzata alla luce dell’art. 6 par. 1 della Convenzione, sottolineando che il ricorrente avrebbe dovuto avvalersi della specifica disciplina nazionale e obiettando, finanche, la mancanza dello status di vittima del ricorrente. Riguardo alle argomentazioni avanzate dalla parte resistente, la Corte EDU ha riconosciuto, come già altrove, lo status di “vittime” ai ricorrenti ricordando che gli stessi conservano tale qualità in seguito al successo del procedimento di indennizzo previsto dalla legge nazionale (nella specie L. n. 219 del 1992). Quanto alla richiamata e più specifica disciplina nazionale, essa ha ribadito che tale ricorso sarebbe stato insufficiente nel caso di specie, non essendo qui in discussione soltanto la durata del procedimento, ma anche la questione se lo Stato avesse adempiuto ai suoi obblighi procedurali ai sensi dell’art. 2 CEDU. Per conseguenza, respinte le eccezioni del Governo, essa ha ritenuto ammissibile il ricorso. Nel merito, i giudici di Strasburgo hanno poi preliminarmente precisato che le doglianze del ricorrente fossero dirette esclusivamente a censurare la durata del procedimento civile e, in base alla sua giurisprudenza in materia, ha ritenuto che la durata del processo fosse stata eccessiva e che le autorità nazionali, rispetto alla addotta violazione dell’art. 2 CEDU, non avessero fornito adeguata spiegazione circa l’assolvimento degli obblighi procedurali conseguenti a tale disposizione. Per conseguenza la Corte ha ritenuto violato l’art. 2 della Convenzione sotto il suo profilo procedurale e ha obbligato lo Stato a versare al ricorrente una somma a titolo di risarcimento per danno morale.
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