Nella decisione resa al caso XXX, la Corte di Strasburgo ha deciso il ricorso presentato da un cittadino greco, col quale lamentava la violazione degli articoli 3 e 8 della Convenzione. Più specificamente, il ricorrente denunciava la condotta delle autorità nazionali per avergli inflitto più sanzioni disciplinari poiché si era rifiutato, durante il periodo di detenzione, di sottoporsi a perquisizioni/ispezioni corporali. Per tale ragione, il ricorrente veniva trasferito in altro istituto penitenziario e confinato, temporaneamente, in una “cella speciale” (isolamento). In considerazione delle circostanze del caso, egli riteneva perciò degradanti, ingiuste e sproporzionate tali misure nonché illegale e al più arbitrario l’ordine di ispezione corporale. La Corte EDU ha ritenuto preliminarmente che le doglianze del ricorrente dovessero essere scrutinate esclusivamente sotto il profilo della violazione dell’art. 8 CDEU. Inoltre, circa il requisito dell’ammissibilità ai sensi dell’art. 35 par. 1 CEDU, essa ha ribadito come tale disposizione segni un limite temporale per la presentazione dei ricorsi innanzi a sé e, soffermandosi sulla sua portata, ha ricordato che la violazione della Convenzione o anche di uno dei suoi Protocolli può assumere la forma non solo di atto istantaneo, ma anche di una situazione continua ovvero di uno stato di cose risultante da azioni continue intraprese da o per conto dello Stato, di cui i ricorrenti sono vittime. Posta tale precisazione i giudici di Strasburgo hanno dichiarato ammissibile solo parte del ricorso, poiché, per il resto, il ricorrente non aveva previamente esaurito le vie di ricorso interne. Nel merito, la Corte ha specificato invece l’oggetto del ricorso che – a ben guardare – non riguarda la perquisizione corporale in sé, bensì l’adeguatezza o meno della sanzione disciplinare inflitta al ricorrente e se questa avesse determinato un’interferenza nel suo diritto alla vita privata ex art. 8 CEDU. In via generale, essa ha ribadito che la perquisizione del corpo per quanto colpisca la sfera della riservatezza e della dignità di ciascun individuo non è di per sé misura illegittima, fermo restando debba risultare “necessaria” per perseguire determinate finalità. Nel caso di specie, i giudici di Strasburgo hanno perciò verificato se l’interferenza contestata fosse o meno proporzionata allo scopo legittimo e se le ragioni addotte dalle autorità nazionali fossero pertinenti e sufficienti. Alla luce del quadro entro il quale muove l’iter decisionale della Corte EDU, e in mancanza di elementi oggettivi e specifici circa il sospetto che il ricorrente potesse nascondere all’interno del corpo sostanze illecite, la Corte ha ritenuto particolarmente severa e rigida la sanzione disciplinare inflitta. Sanzione inflitta, come ben sottolineato, a seguito del rifiuto del ricorrente di sottoporsi all’ispezione corporale. Per conseguenza, la Corte EDU ha condannato la condotta delle autorità nazionali, le quali non hanno fornito giustificazioni sufficienti e pertinenti circa la motivazione delle misure adottate, ritenute non proporzionate allo scopo legittimo perseguito né necessarie in una società democratica con conseguente violazione dell’art. 8 CEDU.
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