La Corte EDU condanna la Russia per l’avvelenamento e l’assassinio di un dissidente e disertore russo (CEDU, sez. III, sent. 21 settembre 2021, ric. n. 20914/07)

Con la decisione resa al caso che si segnala, la Corte EDU si è pronunciata sul ricorso presentato da una cittadina britannica e russa, la quale ha lamentato la violazione da parte del Governo russo degli articoli 2 e 38 della Convenzione. In particolare, ella accusava le autorità russe di essere stati responsabili, conniventi ed effettivi mandanti dell’avvelenamento e, quindi, dell’uccisione del marito, un disertore e dissidente russo, assassinato in maniera particolarmente dolorosa e sofferente. Il Sig. XXX, la vittima, aveva lavorato per il KGB (poi FSB) e, dopo aver pubblicamente denunciato una serie di ordini illegali ricevuti dal Servizio di sicurezza federale russo, veniva licenziato e sottoposto a misure restrittive cautelari. Dopo il rilascio, il Regno Unito gli concedeva asilo e qui si era trasferito ed aveva continuato ad impegnarsi in diverse attività volte per lo più a documentare la corruzione nei servizi di intelligence russi. Sempre qui nel Regno Unito in seguito ad alcuni incontri e colloqui intrattenuti con persone provenienti da Mosca vi sarebbe stata la contaminazione da polonio e, successivamente, l’insorgere della malattia sino al decesso. All’esito dell’autopsia veniva certificata la causa della morte, dovuta ad una sindrome acuta da radiazioni per la presenza nel corpo del Sig. XXX di livelli molto elevati di polonio 210, un raro isotopo radioattivo. Sul caso veniva avviata un’indagine penale dalla Procura della Federazione russa, la quale si concludeva senza alcun accertamento della verità anche perché – il principale imputato – aveva intanto acquisito l’immunità parlamentare. Un procedimento di inchiesta era stato intrapreso anche nel Regno Unito che invece si concludeva con il riconoscimento della responsabilità della FSB – in veste di mandante – dell’omicidio del Sig. XXX. Alla luce della lunga narrazione dei fatti, la Corte ha preliminarmente affrontato la questione concernente l’obbligo procedurale ai sensi dell’art. 38 CEDU che impone alle Alte Parti contraenti di fornire, in caso di indagini, tutte le facilitazioni necessarie per un effettivo svolgimento delle stesse. In merito, essa ha constatato come a fronte delle reiterate richieste inviate al Governo russo di presentare i documenti del fascicolo di indagine relativi alla morte del Sig. XXX, esso fosse rimasto sostanzialmente inattivo, rifiutandosi di esibire qualsiasi documentazione senza alcuna soddisfacente spiegazione. Per la Corte EDU simile rifiuto ha concorso a rafforzare le inferenze circa la fondatezza delle accuse del ricorrente e, nel contempo, ha integrato la violazione della suddetta disposizione convenzionale. Inoltre, in punto di ammissibilità e di fronte alle memorie presentate dal Governo russo – per il quale le conclusioni dell’inchiesta londinese non potevano essere utilizzate per stabilire la violazione della Convenzione da parte della Russia in quanto incoerenti e lacunose – la Corte di Strasburgo ha ricordato di “essere padrona del proprio procedimento e delle proprie regole”, rimanendo libera nel valutare il valore probatorio di ciascun elemento di prova innanzi a sé prodotto. Nel caso di specie, essa ha affermato di non dubitare della qualità del processo investigativo interno ed ha ammesso il rapporto di indagine come elemento di prova. Nel merito, i giudici della Corte EDU hanno poi deciso il ricorso sotto il profilo della violazione dell’articolo 2 CEDU nei suoi aspetti procedurali e sostanziali. Per quanto concerne il primo aspetto essa ha respinto l’eccezione di incompatibilità ratione loci avanzata dal Governo russo e ha ritenuto inefficace lo svolgimento delle indagini sulla morte del Sig. XXX da parte delle autorità nazionali, inadeguate peraltro all’accertamento dei fatti e, se del caso, alla identificazione e alla punizione dei responsabili dell’omicidio. Riguardo al secondo aspetto la Corte ha anzitutto ribadito che l’art. 2, il quale salvaguarda il diritto alla vita e stabilisce le circostanze in cui la privazione della vita stessa può essere giustificata, è una delle disposizioni più fondamentali della Convenzione della quale non è consentita nessuna deroga. In ragione di ciò, la sua violazione nel caso di specie è derivata dalla circostanza che nessuno elemento emerso può considerarsi causa di giustificazione ai sensi dell’art. 2, secondo comma, CEDU. Per conseguenza, essa ha concluso che quando il Sig. XXX è stato avvelenato per mano dei Signori YYY e ZZZ, questi ultimi hanno agito in qualità di agenti dello Stato convenuto ed hanno esercitato il potere fisico e il controllo sulla vita della vittima.

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