La Corte EDU riconosce le gravi lesioni mentali del detenuto come conseguenza dei maltrattamenti degradanti subiti (CEDU, sez. V, sent. 22 luglio 2021, ric. n. 51295/11)

Con la decisione resa al caso in esame la Corte EDU ha deciso il ricorso presentato da un cittadino armeno contro il Governo azero, lamentando la violazione degli articoli 3 e 5 della Convenzione per presunti maltrattamenti subiti durante la detenzione e per essere stato illegalmente detenuto. Il ricorrente, arrestato dalle forze militari azere, denunciava infatti di essere stato recluso senza conoscerne il motivo e di non aver avuto la possibilità di contestare l’illegittimità della propria detenzione. Durante tale periodo, inoltre, non aveva ricevuto alcun accertamento circa il suo effettivo stato di salute, risultato, al momento del rilascio, pesantemente compromesso per via dei maltrattamenti patiti. Il Governo confutava tutte le eccezioni sollevate dal ricorrente, arrestato come prigioniero di guerra e detenuto secondo la Convenzione di Ginevra del 1949 e, in ragione dell’irrisolto conflitto tra l’Armenia e l’Azerbaigian, sosteneva, in particolare, vi fossero stati ostacoli di natura pratica e diplomatica affinché egli potesse accedere a qualsiasi rimedio giurisdizionale interno. Nel merito, la Corte ha preliminarmente ricordato i principi generali sull’art. 3 CEDU e, in specie, come tale disposizione incarni uno dei valori più fondamentali delle società democratiche tanto che la Convenzione proibisce in termini assoluti la tortura e i trattamenti inumani o degradanti, a prescindere dalla condotta della vittima. Il maltrattamento per essere tale deve raggiungere un livello minimo di gravità e comportare lesioni fisiche o mentali. Nondimeno, anche in mancanza di queste più estreme conseguenze, il maltrattamento è ritenuto degradante qualora l’umiliazione superi l’inevitabile soglia di sofferenza già insita nella detenzione. Incombe, pertanto, sullo Stato l’obbligo di garantire che la persona sia detenuta in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana. In ogni caso, le accuse di maltrattamenti ex art. 3 devono essere supportate da prove adeguate che la Corte valuta “oltre ogni ragionevole dubbio” nonché in base alla coesistenza di inferenze sufficientemente forti, chiare e concordanti. E se gli eventi rientrino in tutto, o in larga parte, nella conoscenza esclusiva delle autorità, come nel caso delle persone sotto il loro controllo in stato di detenzione, insorgono forti presunzioni a carico delle autorità. Spetta, quindi, al Governo fornire una prova soddisfacente e convincente che confuti la posizione della vittima. All’interno di questa cornice, la Corte ha risolto la questione sulla base delle prove esibite dal ricorrente, il quale con ampia documentazione aveva dimostrato il nesso tra i danni alla sua salute mentale, rilevati immediatamente dopo il suo rilascio, e il tempo della sua detenzione; mentre il Governo non aveva fornito alcuna spiegazione soddisfacente e convincente per dimostrare il contrario, sicché essa ha potuto dichiarare la violazione dell’art. 3 CEDU e, per conseguenza, le gravi lesioni mentali riportate dal ricorrente come esito dei maltrattamenti subiti nel periodo della detenzione stessa. Quanto alla violazione dell’art. 5 CEDU, i giudici di Strasburgo hanno qui ripreso un consolidato orientamento secondo cui qualsiasi privazione della libertà personale deve non solo essere in conformità con le norme sostanziali e procedurali del diritto nazionale, ma anche conforme allo scopo stesso dell’art. 5, vale a dire proteggere l’individuo da ogni decisione arbitraria. La protezione dell’individuo contro ogni abuso di potere ritrova proprio nel contenuto dell’art. 5 specifica garanzia, lì dove la norma si sofferma a circoscrivere le circostanze in cui gli individui possono essere legittimamente privati della loro libertà, sottolineando che a tali circostanze deve essere data un’interpretazione restrittiva. In applicazione di tale principio, la Corte ha osservato che il Governo convenuto non aveva presentato alcun materiale o informazione concreta per dimostrare che il ricorrente fosse un prigioniero di guerra e, respingendo le argomentazioni del resistente secondo le quali le garanzie dell’art. 5 CEDU non dovessero applicarsi al ricorrente, ha ritenuto che la sua detenzione non fosse conforme ad alcuno dei sotto-paragrafi dell’articolo 5 e che al ricorrente non fosse stata concessa alcuna delle garanzie procedurali previste con conseguente violazione della disposizione in parola.

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