La Corte EDU sulla libertà di espressione delle ONG e l’utilizzo del simbolo Falun (CEDU, sez. II, sent. 29 giugno 2021, ric. n. 29458/15)

La Corte EDU ha deciso il ricorso presentato da due organizzazioni non governative registrate in Moldova, e da due cittadini contro la Repubblica di Moldova, riconoscendo la violazione degli articoli 9 e 11 della Convenzione.
Nella specie i ricorrenti sono seguaci di una pratica spirituale, il cui simbolo internazionale è il Falun rappresentato da una svastica gialla grande e quattro piccole in senso antiorario e quattro piccoli simboli su sfondo rosso e arancione. In virtù di simile circostanza, veniva avviato un procedimento affinché fosse vietato l’utilizzo di tale simbolo con conseguente scioglimento delle organizzazioni stesse. Già in tale sede, i ricorrenti si erano opposti precisando che il loro simbolo era stato registrato in oltre ottanta paesi in tutto il mondo e respingevano le accuse relative alla propagazione dell’odio e dei disordini, rivendicando il diritto loro riconosciuto dagli articoli 9 e 11 della Convenzione EDU. La Corte Suprema di Giustizia, accogliendo il ricorso, vietava l’utilizzo del simbolo e ordinava lo scioglimento delle ONG. Per conseguenza, il simbolo stesso veniva incluso nel registro dei simboli di natura estremista. Rispetto a tale pronunciamento veniva chiesto l’annullamento delle impugnate sentenze. La stessa Corte Suprema aveva rilevato una violazione dei diritti garantiti dagli articoli 9 e 11 della Convenzione, stabilendo che l’ingerenza nei «diritti garantiti dagli articoli 9 e 11 della Convenzione non era necessario in una società democratica perché non corrispondeva a una pressante esigenza sociale. Essa rilevava inoltre che i tribunali, i quali avessero precedentemente esaminato il caso, non avevano effettuato un test di proporzionalità e non avevano esaminato la necessità dell’interferenza. All’esito dei predetti procedimenti, le organizzazioni ricorrenti chiedevano l’esecuzione delle sentenze ed il risarcimento del danno morale subito, ma senza alcun successo. Di qui il ricorso innanzi alla Corte EDU che, in prima battuta, ha respinto l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Governo e fondata sulla presunta perdita dello status di vittima dei ricorrenti. In proposito, i giudici di Strasburgo hanno ribadito che una decisione o un provvedimento favorevole a un richiedente non è in linea di principio sufficiente per privarlo dello status di vittima, a meno che le autorità nazionali non abbiano riconosciuto, espressamente o sostanzialmente, e quindi riparato la violazione della Convenzione. Nel caso di specie, la Corte Suprema di Giustizia pur riconoscendo la violazione dei diritti garantiti dagli articoli 9 e 11 della Convenzione non aveva assegnato alcun compenso ai ricorrenti e, per di più, non era stata emessa alcuna ordinanza di rimozione del simbolo dal registro degli emblemi di natura estremista. Quanto al merito, e con riguardo alla violazione della libertà di espressione, di riunione e di associazione, la Corte EDU ha ripreso e condiviso l’iter decisionale della Corte Suprema di Giustizia e, constatata la violazione delle suddette disposizioni convenzionali, ha riconosciuto ai ricorrenti il diritto al risarcimento del danno morale.

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